Special Focus: Hiroshima, una prefettura tutta da scoprire

Japan Italy Bridge promuove il Giappone e crea un vero e proprio ponte tra Giappone ed Italia ed oggi si focalizza su Hiroshima. L’Ente Nazionale Turismo Giappone promuove il turismo e questo mese si concentra appunto su questa magnifica prefettura. Ma andiamo a vedere più nello specifico.

Hiroshima

Hiroshima, una prefettura tutta da scoprire

Autore: SaiKaiAngel

La Storia

Hiroshima

photo credits: un.org

La città di Hiroshima fu fondata nel 1589, durante il periodo feudale Sengoku per opera del daimyō giapponese Mōri Terumoto che la rese capitale del suo feudo. Dopo la battaglia di Sekigahara per i possedimenti territoriali, Terumoto dovette cedere Hiroshima al vincitore Tokugawa Ieyasu, che decise di farla amministrare dal daimyō Fukushima Masanori.

Nel 1871 la città divenne capitale dell'omonima prefettura e un importante polo commerciale e navale giapponese. Sul finire del XIX secolo Hiroshima assistette a un'ulteriore industrializzazione, che culminò con gli stabilimenti bellici eretti in occasione della guerra russo-giapponese del 1904, poi sede principale della Mazda nel 1920. Nel 1938 entrò a far parte del più ampio scenario bellico della seconda guerra mondiale. Purtroppo, il 6 agosto 1945, alle 8:16 e 8 secondi la bomba chiamata Little Boy esplose a 576 metri, con una potenza pari a 12.500 tonnellate di tritolo. L'esplosione nucleare uccise circa 260.000 persone e ne ferì più di 160.000 nei mesi immediatamente successivi a causa delle radiazioni.

Il Territorio

Hiroshima

photo credits: locationscout.net

Il centro è steso sulla baia portuale verso il mare di Aki-nada e il territorio è collinare. Hiroshima ha tante isole come Etajima-Nomi e Itsukushima e, nell’entroterra, il territorio diventa più roccioso con i monti Gosasou e Shiraki che fanno da strada al fiume Ota.

Come anche JNTO spiega e assicura, potete esplorare il Giappone in assoluta sicurezza! Visitate Hiroshima senza paura e in completa tranquillità, sarà sempre garantito il giusto distanziamento, il rilevamento della temperatura nei negozi e nei luoghi di interesse, protezioni come ad esempio la mascherina. Non rischiate nulla, come primo interesse della persona e del turista c’è sempre la sicurezza in ogni luogo.

Approfittate per visitare questa splendida prefettura che ci regala non solo grandissime emozioni, ma anche luoghi incantevoli che ricorderete per sempre. Nonostante la tragedia provocata dall’esplosione della bomba atomica, Hiroshima nel 1974 aveva raddoppiato la popolazione prebellica e venne considerata la "capitale della pace" del mondo. Hiroshima ospita importanti attrazioni da visitare assolutamente, andiamo a vederle nel particolare.

Hiroshima Peace Memorial Park

Hiroshima

photo credits: theplanetsworld.com

Simbolo del bisogno di pace eterna, commemora le numerose vittime del primo attacco nucleare ed è situato proprio nell'epicentro dell'esplosione. Hiroshima Peace Memorial Park vanta molti e importanti monumenti, musei relativi agli eventi di quel giorno e alle sue conseguenze. Oltre ai meravigliosi giardini con i loro fiori di ciliegio, troviamo il Museo della Memoria della Pace, il Cenotafio commemorativo, la Fiamma della Pace, e l’Atom Bomb Dome con le rovine della vecchia Camera dell'Industria e del Commercio. Un luogo davvero molto interessante è il Monumento per la pace dei bambini e il Monumento alle vittime della bomba atomica.

Shukkei-en Garden

Hiroshima

photo credits: theplanetsworld.com

Lo Shukkei-en Garden è un meraviglioso giardino sulle rive del fiume Ōta. Uno spazio di pace e tranquillità voluto da Asano Nagaakira nel 1620. Questo giardino un tempo fu la casa dell’imperatore Meiji. Dopo i danni provocati dall’esplosione nel 1945, questi giardini sono letteralmente rifioriti nel 1951 in tutta la loro bellezza. Ponti, sentieri, un vero e proprio paesaggio di calma e relax coccolati dal rumore dei torrenti che attingono dal fiume Ōta.

Hiroshima Peace Memorial Museum

Hiroshima

photo credits: theplanetsworld.com

Le mostre incentrate sull’esplosione della bomba atomica del Peace Memorial Museum sono molto dure, molto dolorose e sono esposte insieme a mostre che inneggiano alla pace nel mondo. Questo museo è uno dei siti che non può mancare nel vostro viaggio in Giappone, sia per vivere la rinascita di una prefettura sia per omaggiare chi ha perso la vita durante il terribile bombardamento.

Castello di Hiroshima

photo credits: theplanetsworld.com

Il Castello di Hiroshima (Rijō), conosciuto anche come Castello delle Carpe, fu residenza di Fukushima Masanori per poi passare in possesso del famoso Asano Nagaakira nel 1619. Nel castello e in particolare nella torre, c’è un museo sulla sua storia con immagini di Hiroshima. Qui possiamo anche trovare tre alberi sopravvissuti alla bomba atomica e un bunker utilizzato per le trasmissioni radio dopo l’esplosione.

Il santuario dell'isola di Itsukushima

Hiroshima

photo credits: theplanetsworld.com

Miyajima è famosa per il santuario di Itsukushima, dedicato alle principesse Ichikishimahime, Tagorihime e Tagitsu-hime, figlie del dio del vento Susanoo. Detta anche l'Isola del Santuario, qui gli edifici con l’alta marea, sembrano galleggiare magicamente sull'acqua, perchè si trovano su una baia sostenuta da palafitte. Lo spettacolo è da non perdere, una festa di colori, di strutture in legno rosso e pareti bianche. Honden (Main Hall), Heiden (la sala delle offerte), Haiden (la sala delle preghiere), Senjokaku (la Sala dei mille tappet) e Takabutai usato per le danze Bugaku e Kagura sono i posti che non possono mancare nella vostra visita a Hiroshima.

Memorial Cathedral per la pace mondiale

Hiroshima

photo credits: theplanetsworld.com

La Memorial Cathedral e una delle chiese più grandi delll’Asia, costruita nel 1954 dal prete gesuita tedesco Hugo Lassalle da un progetto dell’architetto giapponese Murano Tohgo. La Memorial Cathedral ha quattro campane nella torre di 46 metri, un organo fornito dalla città di Colonia e le porte di bronzo di Düsseldorf.

Il tempio Mitaki-dera

photo credits: theplanetsworld.com

Uno dei templi più belli di Hiroshima è Mitaki-dera. Eretto nell’809 e ricostruito dopo la guerra, è famoso anche per i suoi splendidi giardini che in autunno regalano uno spettacolo rosso fuoco ai visitatori. Conosciuto anche come il Tempio delle Tre Cascate per la sua posizione ai piedi del Monte Mitaki, qui risplende la sua pagoda con lacca rossa, il Tahoto e le cascate.

Il tempio Fudoin

photo credits: japanvisitor.com

Un altro bellissimo posto da visitare è il Tempio di Fudoin, con architettura del periodo Muromachi tra il XIV e il XVI secolo e una grande sala principale che contiene una statua scolpita designata come tesoro nazionale.

I musei di Hiroshima

La città di Hiroshima e tutta la prefettura sono famose anche per i tanti musei presenti sul territorio. Qui di seguito quelli che riteniamo siano immancabili nel vostro viaggio a Hiroshima.

Hiroshima Prefectural Art Museum (Hiroshima Kenritsu Bijutsukan)

Hiroshima

photo credits: theplanetsworld.com

Questo Museo, aperto nel 1968, si focalizza sugli artisti locali con collezioni riferite al bombardamento atomico e una galleria per bambini.

Hiroshima Museum of Art

Il Hiroshima Museum of Art è composto da otto gallerie d'arte di livello mondiale. Possiamo trovare la collezione di dipinti di maestri europei come Monet, Renoir, Degas, Maillol e Picasso insieme ai principali artisti giapponesi come Ryohei Koiso e Yuzo Saeki.

Parco zoologico di Hiroshima City Asa

Hiroshima

photo credits: japantravel.com

Aperto nel 1971, l'Asa Zoological Park è grande circa 124 ettari ed ospita 170 specie di animali, come panda minori, salamandre giganti giapponesi, leoni, giraffe e rinoceronti. Un luogo per distrarsi dagli altri importanti posti di Hiroshima e per svagare la mente, non solo per i bambini ma anche per gli adulti!

Cibo e bevande

Ovviamente, con un viaggio così interessante, non possiamo dimenticarci di mangiare e bere e per questo Hiroshima ci regala esperienze uniche anche in questo caso! Non sono da dimenticare cinque famosissime Sakagura di Hiroshima grazie a cui possiamo gustare dei sake eccezionali. Leggete attentamente qui per avere un’esperienza unica nella tradizione giapponese.

Hiroshima

Honshu ichi - Brasserie UmedaCo., Ltd.

【Categoria】Junmai Ginjo
【Ingredienti】Riso, riso Koji (Senbon Nishiki /prodotto di Hiroshima)
【Polishing ratio】60%
【Gradazione d'alcool】 16,8 °
【Densità di glucosio】 1,8
【Acidità】1,7
【Gradazione di saké】 +5
【Aroma】Aroma fruttato dolce
【Pairing】Pesce in generale, pollo, dolci con sapore forte come ad esempio le cheese cake
【Caratteristiche】
Un Junmai Ginjo Sake prodotto dalla Prefettura di Hiroshima, preparando il riso "Senbon Nishiki" con lievito Hiroshima Ginjo. È caratterizzato dall'aroma fruttato del sake Ginjo, gusto leggermente dolce.. Si può gustare con piatti a base di pesce e di formaggio.

‘Zoka’ - Kamoizumi Shuzo Co., Ltd. 創業 1912年 Fondazione 1912
【Categoria】Junmai
【Ingredienti】Riso, Koji, Acqua (Riso : Yamadanishiki/100% Higashihiroshima)
【Polishing ratio】65%
【Gradazione d’alcool】16°
【Densità di glucosio】2,0%
【Acidità】1,8
【Gradazione di saké】±0
【Aroma】Dolce di castagne, con un profumo forte di riso e di grano.
【Pairing】Tofu bollito, dolce con agrumi, cibo marinato.
【Caratteristica】
Il Junmai Daiginjo è ottenuto dal riso per sake "Yamada Nishiki" coltivato in un campo situato a circa 6 km a nord del birrificio, utilizzando l'acqua del sottosuolo di Saijo e la tecnica di Hiroshima Mori. L'aroma delicato e la dolcezza del riso trasparente e gentile armonizzano perfettamente con la fresca acidità. Si può godere godere raffreddato con una tazza sottile o un bicchiere di vino. Sake certificato con marchio Saijo GIAPPONE)

Itteki Nyukon - KamotsuruCo., Ltd.

【Categoria】Junmai Ginjoshu
【Ingredienti】Riso, Riso Koji(100 % riso di Hiroshima)
【Polishing ratio】60%
【Gradazione d'alcool】15 - 16 °
【Densità di glucosio】1,0
【Acidità】1,6
【Gradazione di saké】+3
【Aroma】Morbido
【Pairing】Sauté di pollo, Gelée di pesche bianche
【Caratteristiche】
Questo sake ha come materia prima il riso adatto per la sua preparazione. Un sake Junmai Ginjo leggermente secco che si abbina bene a cibi con l’acidità al punto giusto, buono sia freddo che caldo.

Sempuku Shinriki 【Soprannome】Un pieno di felicità - Brasserie MiyakeCo., Ltd. Sempuku Shinriki

【Categoria】Saké Daiginjo
【Ingredienti】Riso, riso Koji (Shinriki)
【Polishing ratio】 85%
【Gradazione d'alcool】 19,0 °
【Densità di glucosio】 1,2
【Acidità】2,3
【Gradazione di saké】 +5
【Aroma】Aroma maturo, mandorla
【Pairing】Sukiyaki, Bistecca, Formaggio, Cioccolato
【Caratteristica】
Il riso "Kamiriki rice", che è l'origine del Chifuku, è lavorato all'85% ed è vicino alla velocità di lavorazione del riso delle epoche Meiji e Taisho. Una bottiglia piena di sentimenti per la preparazione del sake, adatto soprattutto alle persone particolarmente attente ai sake giapponese.

Night Emperor - Fuji Shuzo

【Categoria】Junmai
【Ingredienti】Riso, Hattan Nishiki Koji, Acqua
【Polishing ratio】65%
【Gradazione d'alcool】 15 °
【Densità di glucosio】N/A
【Acidità】1,6
【Aroma】Moscato, noci
【Gradazione di saké】 +9
【Pairing】Tartare, Pollo grigliato al limone
【Caratteristica】
Il Night Emperor è un liquore miscelato a base di Hachitan Nishiki prodotto nella prefettura di Hiroshima. Liquore versatile facile da abbinare a qualsiasi piatto. Sapore morbido che sfrutta le caratteristiche della preparazione dell'acqua dolce e mantiene bassa la gradazione alcolica pur mantenendo il gusto del koji e del riso. Buono gustato sia freddo che caldo

Vi abbiamo dato un po’ di esempi e informazioni che vi spingeranno sicuramente a vivere l’esperienza di Hiroshima, ma c’è ancora di più! La prefettura di Hiroshima è uno scrigno pieno di tesori che aspettano solamente di essere esplorati da voi. Cosa aspettate? Noi di Japan Italy Bridge non ce lo facciamo ripetere due volte, sarà una gioia sia per gli occhi, sia per per il palato che per il cuore e l’anima. Ne usciremo tutti arricchiti!


Okinawa e Il caso degli ultracentenari

Continua la rubrica di Japan Italy Bridge per promuovere gli approfondimenti legati al mondo del Giappone, oggi parliamo di Okinawa e il caso della popolazione ultra centenaria.

“A 70 anni non sei che un bambino. A 80 anni sei un giovane. A 90, se gli avi ti chiamano in paradiso, chiedi loro di aspettare fino a 100 anni. E allora ci potrai pensare”. Così recita un antico detto ad Okinawa, immancabilmente citato ogniqualvolta ci si accinga a parlare dei suoi mitici abitanti. Parole che sembrano trovare conferma, anche in antiche leggende che parlerebbero di questo posto come di una “Terra degli immortali”.

Okinawa 沖縄 Il caso degli ultracentenari

Autore Ospite: Flavia

Pochi anni fa persino la trasmissione de “Le Iene” ha portato il caso di Okinawa in prima serata, dedicandoci un servizio molto carino. La longevità dei suoi abitanti e ancor più l’incredibile qualità del loro invecchiamento è subito testimoniata dalle prime due signore che appaiono nel servizio. Penso che chiunque le abbia viste sia rimasto a bocca aperta: non mento, se dico che dimostrano qualcosa come 15 anni in meno! Incredibile. Come nota la scomparsa giornalista Nadia Toffa, inviata nel servizio in questione, centenari e ultracentenari li abbiamo anche qui in Italia. Il punto quindi è, come, ci si arriva a quelle età. Cioè: con che qualità della vita? Solitamente gli acciacchi dei nostri anziani, lo sappiamo, sono tali da inficiare la qualità del loro ultimo tragitto di vita. Come società ormai diamo per assodato che malanni e perdita d’autonomia sia ciò che irrimediabilmente ci aspetta varcate quelle soglie d’età. Ebbene, il caso dei (super-) nonni di Okinawa ci dimostra che le cose non devono essere per forza così! E che è nel potere di ognuno, fare in modo di assicurarsi un benessere psico-fisico vita natural durante, a partire da...il prima possibile! Quanto prima ci si inizi a curare, meglio si può predisporre la propria vecchiaia.

Okinawa

photo credits: mediaset.it

I malanni tipici delle nostre società occidentali - che spesso e volentieri manifestano perfino i giovani(!) - gli anziani di Okinawa quasi non sanno cosa siano. L’incidenza di malattie legate alla senilità o malattie degenerative quali osteoporosi, Alzheimer, sclerosi, cancro...è bassissima.

Okinawa: zona blu, paradiso di longevità

Queste persone presentano una straordinaria qualità della vita proprio su quest'isola. Parliamo di gente che non è mai stata all’ospedale, che mai ha preso farmaci… che addirittura è in grado di continuare a lavorare o guidare la macchina anche oltre i 90/95 anni. Che comunque dispone di un margine di autonomia impensabile per un anziano nostrano, salvo casi sporadici. Tra tutti, il piccolo villaggio di Ōgimi spicca per l’alta concentrazione di centenari rispetto al totale degli abitanti. In realtà un caso di longevità analogo è presente, lo saprete, anche in casa nostra: nella vicina Sardegna. Non a caso: Okinawa, Sardegna, l’isola greca Ikaria, la costaricana Nicoya e una piccola comunità presso Loma Linda in California, tutte, rientrano sotto la denominazione di “zona blu”.

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È detta “Zona blu” ogni area del mondo dove la speranza di vita sia più alta rispetto alla media generale. Veri e propri “paradisi di longevità” che attirano ricercatori da tutto il mondo per cercare di carpire il “segreto” delle loro popolazioni. Okinawa e i suoi abitanti in questo senso, superano perfino il Giappone continentale che pure non resta indietro in fatto di qualità della vita, ma presenta ad esempio una maggiore incidenza di malattie.

Okinawa

photo credits: orcls.org

Ma chi sono gli okinawani? Andiamo prima di tutto a scoprire con chi abbiamo a che fare.

Identikit dei “tropici” giapponesi

Okinawa è il principale complesso ( 沖縄諸島 Okinawa·Shotō ) dell’arcipelago delle Ryūkyū e si colloca fra Giappone “continentale” e Taiwan. È composto da un’omonima isola principale più altre isole minori. Naha ( 那覇 ), ne è capoluogo. Viene nominata prefettura del Giappone nel 1879 sebbene il complesso delle Ryūkyū ( 琉球諸島 Ryūkyū ·Shotō ), che appunto la ingloba, fosse formalmente annesso già nel 1874. Il Giappone era allora in fase di modernizzazione e a questo corrispose un processo di unificazione di tutti i territori dell’arcipelago sotto un’unica bandiera.

Okinawa

photo credits: lacooltura.com, pinterest.it

Prima del 1874 il Ryūkyū costituiva un Regno autonomo, la cui fondazione nel XV secolo aveva portato alla conseguente unificazione delle isole di Okinawa. Formalmente era riconosciuto dai Tokugawa - signori del Giappone fino al 1868 - sotto la giurisdizione del feudo di Satsuma (odierna Prefettura di Kagoshima). Di fatto però era indipendente, tant’è che è stato regno tributario sia del Giappone Tokugawa sia, ancor prima, della Cina.
Okinawa è una regione un po’ particolare, più a sé stante rispetto al resto del Giappone. Risente di un’influenza da parte di Cina e Sud-Est Asiatico, per via dei frequenti scambi commerciali e culturali mantenuti dal Regno ryūkyano nel corso dei secoli. La stessa cucina di Okinawa e il Karate, l’arte marziale made-in-Okinawa per eccellenza, sono il risultato di tali interazioni.
La natura rigogliosa di queste isole, fatta di numerose barriere coralline ed estese foreste pluviali, unitamente a un clima sub-tropicale, rende Okinawa un autentico paradiso. Non è raro trovarla indicata sotto espressioni come “angolo tropicale” o “caraibi” del Giappone. Un clima che un po’ richiama quello delle zone blu “colleghe” Sardegna e Ikaria, guarda caso anch’esse isole. Non mi stupisce che paradisi come questi possano ospitare “elisir” di lunga vita.
Ma vediamo cosa ci dicono dell’elisir di Okinawa le scoperte dei ricercatori.

Gli studi dei ricercatori ORCLS

L’Okinawa Centenarian Study (OCS), è il più lungo studio sui centenari attualmente esistente. È condotto dal team di ricerca dell’Okinawa Research Center for Longevity Science (ORCLS) che dal 1975 passa in rassegna diversi aspetti della vita locale. Fra questi, anche gli aspetti sociali, psicologici e spirituali vengono tenuti in alta considerazione. Il professor Craig Willcox, intervistato nel servizio dalla Iene, è uno dei principali ricercatori. Willcox racconta alle telecamere delle Iene le scoperte che il suo team ha fatto nel corso degli anni. Prima di tutto è stata osservata la presenza di un particolare gene, il FOXO3, prontamente battezzato “gene della longevità”. I ricercatori hanno però rilevato come longevità e qualità della longevità siano inversamente proporzionali rispetto a un tot di fattori di rischio per la salute, avuti prima dei 50 anni. Ossia: le probabilità di arrivare in buona salute ad almeno 85 anni aumentano, se non si sono avuti più di 7 fattori di rischio prima della mezz’età. Viceversa, con più di 7 fattori, Willcox ci dice che le probabilità possono arrivare addirittura allo 0%.

Ed ecco i fattori di rischio:

  • Iperglicemia (con rischio di diabete)
  • Ipertensione (con rischio di infarto o ictus)
  • Eccessivo consumo d’alcool
  • Basso livello d’istruzione (l’educazione, favorirebbe una maggiore coscienza su cosa significhi avere uno stile di vita sano)
  • Essere in sovrappeso
  • Dieta povera (carenza di vitamine, proteine, sali minerali)
  • Trigliceridi alti (con rischio, ad esempio, di arteriosclerosi)
  • Bassa forza di presa nelle mani
  • Fumo
  • Solo per gli uomini: non essere sposati!

Quest’ultimo, alquanto curioso, come nota subito anche l’inviata Toffa nella sua intervista. Willcox lo motiva così: “le donne sono molto meglio [a prendersi cura di sé] non hanno bisogno degli uomini, possono sopravvivere anche senza”. Per questo avere una donna al proprio fianco aumenterebbe l’aspettativa di vita dell’uomo medio. Comunque stiano le cose, se pensiamo che storicamente le donne di Okinawa ricoprono un ruolo chiave nella società dell’isola, ciò potrebbe assumere un significato più esteso. E brave donne okinawane!

Non solo DNA di Okinawa

Le ricerche però non finiscono qui. Willcox racconta di aver esaminato con il suo team un campione di 8000 uomini con antenati giapponesi nella loro genealogia. Considerate le due variabili di analisi, presenza del gene FOXO3 (1) e stile di vita sano (2), hanno diviso i soggetti in 4 gruppi. Ebbene: gli individui che pur possedendo il gene legato alla longevità presentano però un’alimentazione non corretta, vivono meno rispetto a chi, pur non essendo predisposto geneticamente, mantiene un’alimentazione sana. Il che ci dimostra in modo lampante - come afferma Willcox - il potere che dieta salutare e stile di vita hanno sulla salute fisica degli individui.

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Altra cosa osservata, è che la popolazione okinawana non consuma più di 1100 calorie giornaliere circa. Il 10% in meno rispetto alle calorie solitamente indicate da ogni tabella nutrizionale. In particolare, la loro abitudine a “spizzicare piuttosto che abbuffarsi” - spiega sempre Willcox - è chiave. Uno spizzicare però fatto di cibo salutare: gli snack ad esempio sono fatti con frutta o pesciolini essiccati (snack diffuso anche nel Giappone continentale). Tutto ciò unitamente a un più ampio, salutare, stile di vita.

Vogliamo scoprire nel dettaglio in che cosa consiste tutto ciò? Partiamo dalle abitudini alimentari.

#1 Dieta tradizionale

Due, sono sostanzialmente i principi alla base della dieta okinawana e riguardano quantità e qualità del cibo.

腹八分 (Hara·Hachi·Bu): “ stomaco [pieno] per 8 parti ”

Ovvero 8 parti su 10: “Lascia sempre un po’ di spazio nello stomaco...cioè mangia fino ad essere pieno al 70-80%” spiega Willcox. Una linea guida, sembrerebbe di stampo confuciano, che ricerca la moderazione anziché la sazietà: mai riempirsi completamente ma mangiare lo stretto necessario. Ed infatti, racconta il secondo anziano alla giornalista Toffa: “Mangio il giusto ma senza riempirmi mai del tutto. Mi alzo sempre con un po’ di fame”.
Gli okinawani sono soliti consumare 5 pasti al giorno (cosa raccomandata anche dai medici nostrani peraltro) optando per cibi ipocalorici ma comunque sazianti. Teniamo presente poi l’impostazione della tavola, tipico comunque della cucina giapponese tutta. La contemporaneità delle pietanze, attraverso la loro disposizione in piattini e ciotoline, è un fattore che senz’altro predispone maggiormente a “piluccare” piuttosto che ad abbuffarsi.

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photo credits: travelbook.co.jp

I·Shoku·Dō·Gen ( 医食同源 ), “ cibo e medicina, stessa origine ”, di Okinawa

Per gli anziani locali, non c’è nulla di più sano che dedicarsi con amore alla cura dell’orto per poi nutrirsi dei frutti della terra. Se a questi aggiungiamo gli alimenti marini ecco che abbiamo la nostra dieta miracolosa. Ecco di cosa si compone:

  • Verdure. Soprattutto a foglia verde, radici gialle e quelle color arancio, tutte contenenti carotenoidi e antinfiammatorie;
  • Tuberi come la patata dolce viola di origine cinese, dall’indice glicemico molto basso. Spiega Eugenio Iorio, ricercatore italiano, sempre alle Iene: “è lì [nel viola] che ci sono questi famosi polifenoli [...] dialogano con il nostro DNA e quindi ci aiutano a controllare l’effetto dei radicali liberi”;
  • Legumi. Come fagioli di soia (con proteine e fibre ma senza grassi) e i derivati della soia;
  • Alghe, antinfiammatori naturali, ideali per i radicali liberi e anche per i capelli;
  • Pesce e i già citati pescetti essiccati, ricchi di magnesio e omega 3;
  • Tè. Particolarmente tè verde e al gelsomino, anti-invecchiamento;
  • Erbe da masticare come la Sakuna, “erba-elisir” dimagrante e antiossidante;
  • Frutti. Fra cui melone amaro Goya, usato nel piatto tipico “Goya Champuru” e agrumi Shikuwasa, antinfiammatori, entrambi tipici del luogo.

Okinawa Okinawa

photo credits: ohayo.it

“Mangiare come un arcobaleno”

Per usare le parole del dr. Willcox, in virtù della sfilata di colori che la grande varietà di frutta e verdura porta sulle tavole di Okinawa. Varietà. Un’altra parola d’ordine nell’agenda degli okinawani che giornalmente arriverebbero ad adoperare almeno 18 cibi. L’importante comunque, è sempre rispettare la stagionalità di frutta e verdura. In tal modo se ne coglie il massimo potenziale nutritivo. E naturalmente, la freschezza degli alimenti. Importante poi se si decide di cucinarli, particolarmente se si tratta di pesce e verdura: mai cuocerli troppo se si vogliono conservarne le sostanze nutritive!
Da notare poi, oltre a un bassissimo consumo di carboidrati, un uso altrettanto ridotto di sale e zucchero. Sì invece alle spezie, come la curcuma, e ai funghi.

E la carne?

Per effetto di quell’influenza cinese di cui si diceva all’inizio, il consumo di carne è anch’esso ben radicato nella cucina di Okinawa. Ma la carne, così come i latticini e i cereali, sono categorie ad alta densità nutrizionale...quindi vengono consumate in quantità ancora più ridotte! Perfino il riso è consumato di meno rispetto al resto del Giappone e ad esso spesso si preferisce la quinoa. Si parla di dieta ipocalorica anche per questo; perché controbilancia con quantità minori apporti nutrizionali altrimenti potenzialmente eccessivi. Anche perché: rimangono gli alimenti vegetali, marini e la frutta i veri portatori di tutte quelle sostanze benefiche che vanno a costituire l’elisir alimentare di Okinawa.

#2 Attività motoria e mentale

“Quando il corpo si muove, il cervello va a ritmo”- questo il motto di Jim Kwik, formatore di livello internazionale che si occupa di apprendimento veloce. Kwik sollecita sempre, anche chi per lavoro o studio deve passare le giornate seduto, a non stagnare tutto il tempo sulla sedia bensì a fare pause e muoversi. Anche solo pochissimi minuti di semplici movimenti, fra una pausa e l’altra, oltre che bere acqua e fare piccoli snack, sono sufficienti. Così facendo, ci suggerisce Kwik, le nostre prestazioni risultano anche migliori, poiché il cervello funziona meglio, se ci trattiamo in questo modo. L’esercizio come stimolatore della neurogenesi e della neuroplasticità: facilita la creazione di nuove connessioni neurali. Insomma, il movimento fisico, è una palestra anche per il cervello! Che ne esce rafforzato. E se il cervello è attivo, tutto l’organismo ne beneficia. È un circolo vizioso, benefico, che se attivato si autoalimenta. E a ciò si aggancia anche tutto il discorso nutrizionale fatto poc’anzi, così come i restanti fattori che vedremo tra poco. Teniamo presente che questo discorso non è a compartimenti stagni: tutto è collegato.

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Osservando le vite dei nostri okinawani, ci accorgiamo che, a modo loro, mettono in pratica accorgimenti molto simili a quelli promossi dal signor Kwik. La seconda ragione del loro benessere sta infatti nel loro essere attivi, non solo appunto nel fisico ma anche nella mente! Il nonnino che vediamo nel servizio delle Iene, ad esempio, ogni giorno al rientro dalla passeggiata mattutina, legge il giornale. E badate, a 100 e passa anni, lo fa senza l’ausilio degli occhiali. Per non parlare poi del fatto che ha lavorato in campagna sino ai 97 anni!

Okinawa

photo credits: mediaset.it

Tra le attività più amate dai nonni di Okinawa - oltre all’orto, come già detto - troviamo la danza tradizionale o il dilettarsi con qualche strumento musicale tradizionale. Oppure, le arti marziali, ideali per il sistema corpo-mente-spirito, come nel caso del maestro Seikichi Uehara. Uehara, pochissimi anni prima della sua scomparsa avvenuta a 100 anni, ancora insegnava Karate ai suoi allievi. Oppure ancora: come non citare la tessitrice Toshiko Taira che ormai alla soglia dei 100 anni continua a lavorare come tessitrice di Bashōfu, antico tessuto usato per i Kimono (prodotto peraltro solo ad Ōgimi).

#3 Atteggiamento interno ed esterno

Ma non è solo questione di geni e di alimentazione. Gira che ti rigira si torna sempre lì: la mente (e lo spirito, che nella visione giapponese è un tutt’uno con la mente- come testimonia la parola心 “Kokoro” ossia cuore/mente). Ancora una volta, la visione delle cose si rivela determinante. I più cinici saranno stanchi di sentirsi propinare sempre “la solita solfa”, lo so; però invece di buttarla automaticamente sullo scetticismo, io comincerei a dare più credito al “potere della mente”. Un motivo ci sarà, se viene invocato da più parti. Ben lo saprà certamente, chi in qualche modo ha sperimentato le benefiche influenze di un mindset pulito, da distorsioni eccessivamente...interpretative, della realtà, mettiamola giù così.

La percezione del mondo e dunque di sé ha il potere di incidere sul mondo tangibile delle persone. Pensiamo alle malattie psicosomatiche ad esempio...o anche solo al dialogo interiore: i pensieri o le parole rivolte verso qualcosa possono influenzare questo qualcosa, inclusi noi stessi.
Così, anche gli studiosi degli okinawani riconoscono nell’ottimismo un fattore non di poco conto, al pari di fattori più tangibili. Un ottimismo, attenzione, inteso non come un far finta che le sfide nella vita non esistano...ma come un diverso modo di accoglierne tanto il bello quanto il brutto. Un’apertura nei confronti della vita, che rifugge la lamentela e la visione negativa delle cose. Una serenità data dal conoscere il proprio animo e il proprio posto nel mondo, con una conseguente fiducia nella vita e negli altri. Dal concedere il beneficio della possibilità, a tutto e tutti.

photo credits: mediaset.it

#4 Rapporti interpersonali e vita sociale

Quando tutto ciò si verifica, la “macchina” mente-spirito funziona propriamente e si sta meglio a 360 gradi. Anche nelle piccole cose apparentemente scontate che però hanno una loro importanza, come i semplici ma autentici momenti di convivialità. La gente di Okinawa generalmente ha una vita sociale molto sana, basata sulla fiducia e su una comunicazione equilibrata. Spessissimo non ci si fa caso, proprio perché può apparire come “la solita retorica”, ma, credete, che la comunicazione è essenziale per mantenere dei rapporti umani sani e soddisfacenti. Quando le persone riescono ad avere una comunicazione sincera, spontanea, e serena - senza beghe di vario tipo - ecco che le relazioni sono perfettamente equilibrate. Senza rapporti umani equilibrati e soddisfacenti, la vita di un essere umano non è la stessa cosa. Come sono essenziali i momenti di sana solitudine, per riequilibrarsi e recuperare le proprie energie, altrettanto lo sono, ad un certo punto, anche i rapporti umani. Ma badate: che siano appunto sani ed equilibrati. Proprio come quelli dei nostri okinawani.
Il profondo senso di appartenenza alla comunità che caratterizza la loro rete di relazioni e il valore attribuito alle persone anziane, crea su queste ultime un effetto a cuscinetto che trasmette loro fiducia. Con una comunità pronta a sostenerli, i nonnini possono così vivere liberamente e sentirsi ancora utili. Volete farmi credere che l’amore e la fiducia che circonda queste persone non contribuisca alla loro qualità della vita?

#5 Spiritualità

E tutto ciò ci traghetta verso l’ultimo fattore che ci rimane da considerare: la spiritualità. “Ci traghetta” poiché un approccio alla vita come quello che abbiamo visto, da quella parte del mondo, va di pari passo con un certo tipo di sensibilità spirituale. Sono due cose intimamente legate, se ci pensiamo bene, e non potrebbe essere altrimenti.
È di Okinawa proprio quel famoso Ikigai ( 生き甲斐 ) la filosofia del trovare la propria ragione di vita, ciò che le dà un senso. Se manca questo, non c’è dieta sana o geni forti che tengano, per una vita lunga e di qualità. Anche il detto “Nan kuru nai sa ( なんくるないさ )” cioè “ Non ti preoccupare [va tutto bene] ” è made in Okinawa. Indica la credenza profonda che tutto quanto accade nella vita abbia un suo significato intrinseco, e che ci serva, per la nostra crescita. Detto ciò, ognuno può e dovrebbe fare tutto quanto in suo potere nelle situazioni che la vita che gli para davanti. Se questo viene fatto, allora, ci dice il motto “non hai nulla da temere: tutto ciò che potevi fare l’hai fatto, quindi va tutto bene, sii in pace. Tutto è come dev’essere”.
Preghiera e meditazione, anch’esse benefiche contro lo stress, sono molto presenti nella vita degli okinawani. La mattina ad esempio si raccolgono davanti a un altarino tradizionalmente presente nelle loro case, per commemorare e ringraziare gli antenati. Questo aspetto del ringraziamento è qualcosa di molto importante che potenzialmente si ripercuote sulla mentalità e sulla propria visione del mondo. E la stessa cura dell’orto già invocata più su oppure anche il mangiare con calma (dedicando tutta l’attenzione all’atto stesso, senza disperderla con la tv, ad esempio), è in verità di per sé, già meditazione.

Natura e ambiente

Una spiritualità in ogni caso sempre vicina alla natura...che ne riconosce l’anima. Che sia stata proprio la compartecipazione con la natura, ad aver ispirato nel tempo questa gente ai giusti comportamenti per uno stile di vita benefico? Sebbene questo aspetto specifico sia difficile da quantificare con dati empirici, io credo proprio di sì. Anche perché, se prendiamo per buono che mentalità e visione del mondo possano avere un potere sulle nostre vite...perché allora scartare a priori il potere dello “spirito della natura”? Proprio come gli animali (pensate alla pet-therapy) così può, anche la natura.
Lo spirituale è molto presente in tutto il Giappone ma a Okinawa può contare con una natura più incontaminata, almeno, rispetto ad altri posti nel mondo. Ricordiamoci che l’aumento dei radicali liberi - potenziali responsabili dei tumori - sono favoriti anche dall’inquinamento oltre che da comportamenti scorretti. Per ricollegarci dunque a quanto dicevamo all’inizio pensando alle altre zone blu, anche il fattore ambientale più propriamente detto - l’ecosistema - ha senz’altro un suo peso.

Okinawa

photo credits: visitokinawa.jp

Il potere dello stile di vita di Okinawa

E così, accanto a: alimentazione sana ed equilibrata; attività equilibrata di corpo e cervello; buon rapporto con la vita e di conseguenza con gli altri, ecco che abbiamo la dimensione spirituale. Ma di nuovo, non c’è una gerarchia tra questi fattori: esattamente come per le portate delle tavole giapponesi, essi sono tutti contemporanei. Ognuno dipende dall’altro e ognuno influenza l’altro. Certo, voi direte, c’è sempre una predisposizione genetica. Ma mentre i geni non si scelgono, tutti questi fattori sono invece nelle mani degli individui. Rientrano nel loro potere. I buoni geni sono indubbiamente un plus. Come però ampiamente osservato nelle ricerche OCS, un individuo con uno stile di vita sano vive meglio e a lungo, seppur sprovvisto di tale gene. Mentre l’efficacia dello stesso può venir anche annullata dalla mancanza di uno solo degli altri fattori. E questo lo stanno dimostrando già solo le nuove generazioni di Okinawa. I giovani del posto infatti, occidentalizzandosi - fra sedentarietà e tecnologia, consumo di alimenti preconfezionati e pieni di coloranti -, rischiano purtroppo di perdere i benefici salutari dei loro nonni.

Anche in Italia è possibile avere gli stessi apporti nutrizionali della dieta di Okinawa. Dopotutto la nostra dieta mediterranea, come ci dice anche Eugenio Iorio, si fonda sugli stessi principi. I corrispettivi alimentari dunque li disponiamo anche noi, nelle nostre terre e nel nostro mare. Si parla poi anche di “ MediterrAsian diet ” se si cerca di integrare i due modelli nutrizionali. D’altra parte, stile di vita di Okinawa e stile sardo e ikariano hanno degli aspetti comuni: elevato consumo di verdure e legumi, vita attiva e soprattutto all'aria aperta, e infine, vita sociale e legami familiari forti.


Business Focus: Social Media durante e dopo la pandemia

I social media sono da tempo parte integrante della nostra vita, ma proprio durante questa pandemia mondiale, abbiamo scoperto quanto questo mezzo sia importante.

L’importanza dei Social Media in tempo di pandemia

Autore: Erika 

La pandemia di COVID-19 ha stravolto completamente le nostre vite non solo a livello sanitario ma soprattutto nella nostra routine giornaliera. Se c’è qualcosa che abbiamo imparato da questa situazione, è che dobbiamo essere preparati a qualsiasi cosa ci riservi il futuro. Nessun obiettivo infatti è realistico, ma nei nostri piani dobbiamo cercare di avvicinarci il più possibile a quella che sarà la realtà.

Molti si stanno chiedendo come sarà il mondo post COVID-19 e trovare una risposta non è semplice. Tuttavia una cosa è certa, dobbiamo essere pronti a cambiare e aggiustare le nostre strategie di marketing in qualsiasi momento e il digital sembra essere la strada giusta per farlo.

In questo articolo, andremo a vedere come il COVID-19 ha influito sull’utilizzo dei social media da parte delle aziende.

Con il distanziamento sociale, il digital e i social media hanno avuto un impatto di notevole intensità. Infatti, abbiamo notati un boom non solo app di messaggistica e video chiamata, ma anche tutte quelle piattaforme che ci hanno concesso di poter effettuare eventi digitali.

Sia nella nostra vita privata, che in quella lavorativa, la nostra quotidianità è stata toccata e segnata dal cambiamento di molte abitudini. Tuttavia non tutte le conseguenze sono state negative.

La famosa digital transformation, che in Italia era in stallo, ha subito una notevole accelerata proprio grazie a questa situazione mondiale. Spinti dall’impossibilità di continuare con i vecchi metodi, anche i brand più ostinati si sono arresi all’evoluzione digitale della comunicazione.

Cambiano le strategia di social marketing

Social media Pandemia

Le strategie di marketing infatti sono cambiate per adattarsi ai nuovi supporti e strumenti, ma in primis è cambiato il modo in cui le aziende comunicano e si rapportano con i clienti.

In questo periodo di pandemia, il pubblico ha cambiato le proprie esigenze e le aziende hanno dovuto imparare a relazionarsi in una maniera vantaggiosa. Proprio per questo molto aspetto legato al social media marketing sono cambiati in tempo di pandemia.

Passando molto più tempo in casa e bombardati da tutte queste news negative, il pubblico ha avvertito la necessità di sentirsi in qualche modo connesso con il mondo. E’ proprio questo uno degli aspetti fondamentali che ha permesso alle aziende di cogliere al volo le opportunità e le offerte legate alla digital transformation.

Per chi come noi si occupa di Marketing, avrà infatti notato che i tempi di pubblicazione dei post sono stati completamente stravolti. Il COVID-19 ha mescolato parecchio le carte in tavola e se prima si preferiva postare sui social durante in giorni specifici nella pausa pranzo, ora questo periodo si è esteso a tutti i giorni feriali. E’ invece passato in secondo piano quello che noi chiamiamo il “momento dei pendolari”, quindi dalle 17 in poi i social ora sono poco gettonati.

Invece, se prima il fine settimana risultava uno dei momenti peggiori per pubblicare, ora post lockdown la mattina del weekend è diventato uno dei momenti più ricercati.

 

I social media più visti durante la pandemia

Con il lockdown forzato, i programmi TV sospesi, telegiornali monopolizzati dalle news relative al Coronavirus, il pubblico ha disperatamente bisogno di intrattenimento. Questo ha fatto sì che il pubblico si riversasse sui social media, in particolare su Instagram, YouTube e TikTok alla ricerca di distrazione. Proprio per questo motivo è diventato ancora più fondamentale pubblicare con i tempi giusti.

Anche il volume dei messaggi inviati e ricevuti è cambiato. Nonostante per alcuni settori ci sia stato un calo di pubblicazione dei post, per altre aziende invece il volume è rimasto costante o addirittura è incrementato.

Infatti, alcune aziende hanno aumentato i messaggi rivolti al pubblico durante la pandemia. Per esempio, il settore dell’intrattenimento ha incrementato le proprie attività sui social proprio per offrire distrazione ai cittadini già distrutti dal distanziamento sociale.

Altre aziende invece legati ai settori dello sport e del turismo sono state particolarmente segnate dalla restrizione o sospensione di tutte le attività. Ed è proprio in questi settori dove si è registrato un calo nella comunicazione. Tuttavia questo è stato un passo errato da fare. Potrebbe sembrare la scelta più logica quella di tagliare i fondi legati alla comunicazione in un periodo di crisi come questo, ma in realtà è uno dei gesti più controproducenti che un’azienda possa fare. Ma di questo parleremo in uno dei nostri prossimi articoli.

I social media come strumento per connettere persone durante la pandemia

Social media Pandemia Social media Pandemia

Sin dall’inizio di questo 2020, abbiamo visto come il nostro stile di vita sia cambiato completamente creando nuove regole per tutti.

Infatti, molte aziende si sono trovate a dover ricalibrare la propria strategia in luce dei fatti avvenuti. Ci siamo domandati molte volte se questo contenuto fosse adatto alla situazione attuale, e molte volte ci siamo trovati a rimuoverlo. In un periodo come questo dove la gente è particolarmente sensibile ad ogni tipo di messaggio, è molto importante controllare ciò che viene condiviso ma ancora più importante è adattarsi ad ogni situazione.

Ascoltare le richieste e i sentimenti dei vostri clienti e identificare le loro esigenze è fondamentale al giorno d’oggi per poter capire come orientare la vostra strategia. La pandemia ha creato un clima di terrore generale e per tale motivo ora il pubblico è alla ricerca di conversazioni positive. La gente si è stufata della negatività e di tutto questo sentimento di preoccupazione legato al COVID19 e cerca distrazione sul social.

A marzo sono aumentati del 1.174% i messaggi che avevano come temi aiutare il prossimo, culminando in 19,5 milioni di messaggi nel corso del mese. In questo periodo ricco di insicurezze, le persone cercano più che mai di connettersi e sostenersi l’un l’altro. I social media sono diventati l’epicentro di questo movimento.

Nel sondaggio #BrandsGetReal di SproutSocial del 2019, è stato individuato che il 91% degli intervistati crede che i social network abbiano il potere di connettere le persone, di cui il 78% vorrebbe che i brand utilizzassero i social network per farli incontrare. Questo sentimento è diventato ancora più forte dopo l’avvento della pandemia.

Riuscire a capire cosa il tuo pubblico desidera e dimostrare loro che la vostra azienda ha capito questo bisogno, è la soluzione migliore per una buona comunicazione anche in questo strano 2020.


Business Focus: Lo strambo mondo del web design giapponese

Vi siete mai chiesti perchè il web design giapponese è così diversi rispetto a quello in occidente?

Lo strambo mondo del web design giapponese

Autore: Erika 

Japan Italy Bridge si occupa di offrire servizi per le aziende e parte del nostro lavoro è creare siti web. “Che novità” potreste dire, sì perchè ci sono tante agenzie come noi, ma cosa ci differenzia dalle altre? Beh noi abbiamo la capacità di adattare lo stile e il visual giapponese a quello occidentale e viceversa.

E’ molto molto importante per ogni azienda avere un sito internet che la rappresenti. Tuttavia, spesso capita che lo stile e il design che utilizziamo in Italia non sia propriamente adatto per il linguaggio e il popolo giapponese.

Infatti, se analizziamo anche solo visivamente i siti giapponesi, le differenze saltano subito all’occhio.

web design giapponese

Come ben sappiamo, nella maggior parte del mondo occidentale, i siti internet hanno un layout semplice. Infatti, rispetto ai primi anni 200, abbiamo sostituito la miriade di link con un contenuto rilevante e conciso che ci porti velocemente al nostro scopo.

Tuttavia, in Giappone esiste una diversa cultura anche a livello di gusto visual. Infatti, parte dei siti internet sono cambiati pochissimo rispetto ai primi anni 2000. A tal proposito, possiamo proprio vedere come diversi siti siano sovraccarichi di link e informazioni. Questo per un occhio occidentale è totalmente inconcepibile, mentre diventa la norma per un occhio giapponese.

Yahoo era uno dei motori di ricerca più popolari di tutto il Giappone e lo è ancora per tante homepage. Tuttavia, come potete vedere dalle foto, il suo design e layout sono cambiati veramente pochissimo negli ultimi 10 anni

web design giapponese web design giapponese

Un’altro esempio è la homepage di Rakuten, il centro commerciale online più grande della nazione.
Rakuten è un po’ l’Amazon dell’Asia e ogni negoziante può personalizzare la propria pagina. Questo risulta in un grande display di varie immagini, banner e pop up su diverse pagine che a volte hanno anche bisogno di lungo tempo per essere scrollate.

Perchè il Web Design giapponese è così?

Ma eccoci alla vera questione, perché il web design in Giappone deve seguire questi determinati canoni di stile? La risposta è semplice. La maggior parte del popolo nipponico è formato da utenti anziani che preferiscono mantenere la tradizione. Questo succede anche nello stile visual di come i siti internet vengono costruiti e vissuti.
Questo rende complicato per le aziende un cambiamento verso uno stile che potremmo definire più internazionale.

Inoltre, la maggior parte degli utenti giapponesi utilizza internet tramite un supporto desktop e non mobile. Quindi anche i maggiori siti internet tendono a mantenere il design corrente, anche per non confondere lo user finale.

Un altro motivo per cui i giapponesi preferiscono questo stile che noi definiremmo “vecchio” è anche per la loro cultura dell’informazione. Infatti, se siete mai stati in Giappone o se vi è mai capitato di vedere alcune immagini del paese, avrete notato che le insegne sono onnipresenti. I giapponesi sono bombardati dai neon luminosi e dalle insegne che raccontano di negozi, offerte speciali e occasioni da non perdere. Questo si traspone anche sui siti internet dove il popolo giapponese preferisce avere tutte le informazioni subito.

Il Caso LINE

Quando l’app di messaggistica LINE (il corrispettivo giapponese di Whatsapp) ha deciso di cambiare e semplificare il layout della loro homepage, il popolo giapponese non l’ha presa benissimo. Infatti, proprio in quel periodo, gli utenti si sono scatenati con review da una stella e con numerose richieste all’azienda di cambiare al vecchio design.

Cambiamento all’orizzonte

Tuttavia, nonostante la preferenza per un approccio più tradizionale, alcune giovani fra i 20 e 30 anni hanno dichiarato di preferire un design più minimal.

web design giapponese

Il caso Mercari ne è infatti un esempio. Stiamo infatti parlando di un sito che offre servizi di aste online con un’interfaccia semplice e user friendly. In poco tempo, Mercari ha preso il sopravvento su Yahoo Auctions, l’app più quotata in Giappone per questi servizi.

La storia di questo brand ha messo luce sull’importanza di un buon layout UX, incoraggiando i giapponesi ad assumere nuovi designer in procinto del cambiamento.
Le ditte giapponesi dovranno cominciare ad adattarsi ad un design più moderno non solo per risultare più interessanti per un pubblico più giovane ma anche per diventare più competitive a livello internazionale.

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Jidai Matsuri

Lo Jidai Matsuri ( 時代祭り, letteralmente “Il Festival delle epoche storiche”), celebrato a Kyoto il 22 Ottobre di ogni anno. Questo festival rappresenta una magnifica opportunità per vivere come diretti spettatori oltre mille anni di storia feudale giapponese in un unico giorno.

Jidai Matsuri, il Festival delle epoche storiche

Guest Author: Myriam

Jidai Matsuri

photo credits: travel-on.planet-muh.de

Le origini

Questa festività affonda infatti le proprie radici nella storia più antica del Giappone e rievoca, attraverso un’imponente parata storica in costume, gli eventi ed i personaggi che hanno segnato la vita della città dalla sua fondazione. Si tiene dal 794 ad opera dell’Imperatore Kanmu (桓武天皇, Kanmu Tennō), fino al trasferimento della capitale ad Edo nel 1868 per decisione dell’Imperatore Mitsuhito.

Dalla sua creazione con il nome di Heian Kyo (平安京, "capitale di tranquillità e pace"), Kyoto è rimasta capitale del Giappone quasi ininterrottamente per oltre mille anni. Con la fine dello shogunato Tokugawa e l’inizio dell’Era Meiji, l’intera corte imperiale fu trasferita ad Edo, che divenne così Tokyo (東京, letteralmente “capitale orientale”).

Nel 1895 in occasione del 1100° anniversario della fondazione, i governi della città e della prefettura di Kyoto istituirono lo Jidai Matsuri con l’intento di ridare lustro all’antica capitale. Insieme a questo, lo scopo era onorare la memoria degli imperatori Kanmu e Komei attraverso la costruzione del maestoso santuario Heian.

Mille anni di storia in cammino

Jidai Matsuri

photo credits: fodors.com

Da allora il 22 Ottobre di ogni anno lo Jidai Matsuri riporta in vita lo splendore del Giappone feudale. Questo consente a residenti e turisti di rivivere per alcune ore la vita dell’antica capitale. Ai giorni nostri, infatti, l’attrazione principale del festival è rappresentata dal Jidai Gyoretsu. Si tratta di una parata storica alla quale prendono parte oltre duemila figuranti, vesti con abiti d’epoca o con costumi minuziosamente riprodotti dagli artigiani di Kyoto.

Alla testa della parata si trovano i mikoshi (santuari portatili) dedicati agli imperatori Kanmu e Komei ed i commissari onorari del festival, su carrozze trainate da cavalli nello stile di metà ‘800 e di lì il corteo si dipana in ordine cronologico inverso, dall’Era Meiji fino al periodo Heian, attraverso circa venti gruppi tematici, che permettono di riscoprire, era dopo era, i personaggi che hanno contribuito alla storia della città, dai semplici contadini e soldati, fino a figure storiche prestigiose, come gli unificatori del Paese Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu, oppure figure di rilievo religioso o culturale, come Murasaki Shikibu, autrice del celebre “Genji monogatari”. I figuranti sono accompagnati dalla musica di tamburi e flauti, che insieme agli oltre 12.000 reperti storici utilizzati, consentono agli spettatori di immergersi completamente nell’atmosfera delle epoche passate.

Jidai Matsuri

photo credits: blog.halal-navi.com

Il lungo corteo parte alle ore 12.00 dal Kyoto Gosho, il palazzo imperiale. Si snoda poi per ore nelle vie del centro della città, toccando i luoghi più suggestivi e significativi. Lo vediamo infatti passare da Oike e il quartiere Okazaki, per giungere infine al Santuario Heian. Qui il Festival si conclude con le cerimonie previste dal rito shintoista.


Nada no Kenka Matsuri

Dal 14 al 15 ottobre di ogni anno, nel Santuario Matubata Hachiman (松原八幡神社) nella città di Shirahama a Himeji, prefettura di Hyogo, si tiene il Nada no Kenka Matsuri (灘のけんか祭り) uno dei più grandi festival autunnali del Giappone.

Nada no Kenka Matsuri, Combattere per le benedizioni

Autore: Sara

Nada no Kenka

photo credits: armidaleexpress.com.au

Il termine “kenka”(けんか) contenuto nel nome del Festival significa “lottare” “combattere”, per questo motivo, nella lingua corrente, è definito come “il Festival della lotta” in cui i Kami (gli dei) benediranno il vincitore dello scontro con un buon raccolto. Vista l’irruenza con cui si svolge, all’evento secondo la tradizione scintoista possono partecipare solamente i ragazzi delle scuole superiori e gli uomini fino ai 45 anni. Inoltre i partecipanti devono appartenere a 7 specifici villaggi: Higashiyama (東山), Kiba (木場), Matsubara (松原), Yaka (八家), Mega (妻鹿), Usazaki (宇佐崎), Nakamura (中村).

14 Ottobre: La Vigilia “Yoi-Miya” (宵宮)

photo credits: armidaleexpress.com.au

Alle 11:00 del mattino tutto è pronto per la parata “Neri-dashi” (練りだし). I 7 Yatai (piccoli carri allegorici sacri) provenienti dai 7 villaggi si recano al Santuario Matubata Hachiman per ricevere la benedizione divina, “Miya-Iri” (宮入). Qui gli Yatai si cimentano nella prima competizione chiamata “Neri-Awase” (練り合わせ) entrando in competizione l’uno contro l’altro. Una sorta di “preparazione” poiché la vera “lotta” si terrà il giorno successivo e sarà ancora più difficile. A questo punto ha luogo il “Shishimai”: una danza del drago di fronte alla scuola elementare di Shirahama.

15 Ottobre: Hon-Miya il pesante scontro degli Yatai

Nada no Kenka

photo credits: diversity-finder.net

L’evento principale del Festival inizia alle 5:00 del mattino. Il leone del villaggio di Matsubara (松原の獅子) celebra la danza del drago al Santuario per adorare gli dei. In seguito, la cerimonia si sposta sull’oceano dove i partecipanti dei villaggi eliminano le proprie impurità dello spirito bagnandosi con l’acqua fredda (Osogi 禊) . A questo punto si da il via alla Miya-Iri (cerimonia di apertura) al santuario Matubata Hachiman con la benedizione degli dei. Finalmente inizia il pensante scontro: i primi sono i 3 Mikoshi (i santuari portatili meno costosi degli Yatai) del villaggio incaricato di ospitare il festival (ogni anno il luogo cambia alternandosi tra i 7 villaggi).

Il primo Mikoshi (一の丸) è molto pesante ed è portato dagli uomini di età superiore ai 36 anni. Il secondo (二の丸) è un po’ più leggero ed è portato da uomini di età compresa tra i 26 e i 35 anni. Il terzo Mikoshi (三の丸) è molto leggero ed è portato dai ragazzi di età inferiore ai 25 anni.

Essi combattono tra loro due volte (神輿合わせ, mikoshi-awase): dapprima davanti all’edificio principale del Santuario, poi nel campo di battaglia ai piedi del monte O-Tabi-Yama (御旅山). Al termine di questo scontro, è il turno degli Yatai sul campo di battaglia (Neri-awase 練り合わせ).

Nada no Kenka

photo credits: kabegami.image.coocan.jp

Le grida concitate degli spettatori e dei partecipanti rendono l’evento particolarmente vivo e ricco di passione. A battaglia conclusa, i 3 Mikoshi e i 7 Yatai vengono portati in cima alla montagna dove sono pronunciate le preghiere. il Nada no Kenka Matsuri si conclude con la discesa dal monte che avverrà con lo stesso ordine in cui i villaggi sono saliti.


Business Focus: Influencer Marketing in Giappone, 5 cose da sapere

Abbiamo tutti sentito parlare di Influencer Marketing ma quali sono le differenze in Giappone?

Japan Italy Bridge si occupa di offrire servizi alle aziende nel campo del Digital Marketing e degli eventi. Molte aziende italiane che hanno richiesto i nostri servizi di promozione verso il mercato giapponese, ci hanno domandato quali siano le differenze fra le due nazioni per quanto riguarda l’Influencer Marketing.

Influencer Marketing in Giappone: 5 cose da sapere

Autore: Erika 

Per chi non sappia cosa sia l’Influencer Marketing, stiamo parlando di un ramo della promozione che usufruisce dell’utilizzo di bloggers ed influencer con un target specifico di pubblico.

Al giorno d’oggi, questa strategia è uno dei metodi più efficaci in gran parte dei mercati, questo vale anche per quello giapponese. Infatti, l’Influencer Marketing in Giappone gioca un grosso ruolo ma le regole sono diverse rispetto alle nazioni occidentali.

Oggi condividiamo con voi 5 differenze per aiutarvi capire meglio.

Influencer marketing in giappone

La barriera Linguistica

Uno degli aspetti dei social media giapponesi e quindi anche dell’Influencer Marketing, è che tutto deve essere fatto nella loro lingua. Purtroppo, il Giappone è posizionato 49° fra le 88 nazioni e regioni nella classifica dello studio e conoscenza della lingua Inglese. Una scarsa competenza se pensiamo a quanto i giapponesi usano il mezzo social media per informarsi e comunicare.

Proprio a causa di questo, i classici influencer globali come possono essere Chiara Ferragni, Cameron Dallas e altri, non sono così influenti come lo sono in altre nazioni abituate alla lingua inglese. Infatti, a volte risultano quasi sconosciuti rispetto anche a influencer locali con molti meno followers.

Questo porta ad un grosso dilemma per le aziende, utilizzare influencer locali o ignorare completamente il mercato giapponese. E’ vero, il mercato giapponese ora non è così remunerativo come quello cinese. Tuttavia, il Giappone è classificato 3° nella classifica mondiale GDP e questo è un dato troppo importante per ignorare completamente questa nazione e il suo valore di acquisto.

Come detto prima, è vero, gli Influencer giapponesi hanno meno followers rispetto a quelli globali. Tuttavia, proprio perché parlano in una lingua strettamente legata alla cultura del Sol Levante, questo li porta a non avere molti seguaci nel resto del mondo.
Quello che però possiamo capire da questi dati, è che in questo caso l’engagement diventa estremamente importante. Infatti, gli influencers giapponesi sono estremamente più legati al loro pubblico e le interazioni superano di gran lunga quelle occidentali.

Gli hashtag giapponesi richiedono un background culturale

Quando un’azienda lavora col Giappone, deve capire l’unicità di questo paese e della sua cultura. E’ importante quindi lavorare su hashtag corretti e usarli propriamente. Questo ci porterà a trovare la community in target da poter approcciare e riuscire ad ottenere un ritorno sul nostro investimento.

Gli Influencer e i micro-influencer possono essere trovati utilizzando gli hashtag. Tuttavia trovare il corretto hashtag giapponese non è così facile per coloro che non parlano la lingua e non conoscono la cultura. Inoltre, molto spesso, gli hashtag più diffusi sono appunto dei neologismi.

Per esempio #インク沼 è la traduzione diretta di “Palude di inchiostro senza fondo”. Apparentemente tutto ciò non ha alcun senso, se non fosse che “Qualcosa senza fondo” è uno slang internet usato molto dai giapponesi per descrivere quando qualcuno è davvero appassionato di qualcosa. Tuttavia se togliamo il background culturale, questo hashtag perde completamente di significato.

Influencer marketing in giappone Influencer marketing in giappone

photo credits: @v_sarasara, @tommy_notes_16 , @mizuki___iz

Inoltre, spesso gli hashtag giapponesi possono risultare molto complicati da capire per un occhio occidentale. Questo succede a causa dei tre modi di scrivere la lingua, ovvero il mix di Kanji, Hiragana e Katakana.

Quindi quando usiamo gli hashtag giapponesi, dobbiamo stare attenti a come questi vengono scritti perché la combinazione dei tre modi può portare un significato differente. Nel linguaggio di internet, un hashtag scritto in modo diverso porta anche diversi risultati a livello di numero di pubblico. Infatti questo può influire sul numero di persone che potremmo andare a raggiungere.

Gli Influencer in Giappone sono distribuiti su diverse piattaforme

Anche in occidente, è raro che un influencer abbia la stessa forza su tutte le più popolari piattaforme social. Molti sono popolari solo su Instagram, altri solo su Tik Tok o Twitter. Questo ha ancora più effetto in Giappone con anche la presenza di alcune piattaforme specifiche per la cultura nipponica. Ad esempio, abbiamo NewsPicks che si interfaccia con un pubblico prettamente corporate. Mentre note è un social dedicato interamente ai creatori di contenuti come racconti, tutorial, blog giornalistici e soprattutto manga.

influencer giapponesi Influencer marketing in giappone

I top Influencers e le agenzie

Come capita anche per l’occidente, molti influencer giapponesi quando cominciano a diventare popolari vengono seguiti da alcune agenzie. Al momento, purtroppo, ci sono pochi influencer che lavorano in modo “freelance”. Quindi, se si vuole lavorare con un influencer che appartiene ad un’agenzia, si deve per forza passare tramite questa.

Tutto ciò comporta dei pro e contro.

Pro

  • Accesso ai maggiori influencer
  • Si risparmia tempo nel trovare il giusto influencer visto che le agenzie come la nostra coprono questa parte di lavoro per voi
  • L’agenzia si occupa di negoziare i contratti e i compensi

In questo caso, il lavoro dell’agenzia diventa quindi un beneficio per l’azienda che si ritrova ad avere un lavoro calcolato su misura per i proprio interessi.

Contro

  • Costi superiori
  • Minor flessibilità
  • I contatti diretti degli influencer rimangono privati

Purtroppo, usando un’agenzia bisogna sottostare alle regole della stessa e queste variano da agenzia ad agenzia.

Influencer Giapponesi Influencer marketing in giappone

photo credits: @watanabenaomi703 , @rolaofficial

Post pagati in sordina

Il popolo giapponese è molto severo quando si tratta di onestà e trasparenza. Questa severità viene applicata anche nell'Influencer Marketing in Giappone. Infatti, quando i post a pagamento degli influencer non segnalati come tali, tendono ad essere ignorati dal pubblico e a dare una cattiva impressione.

Tuttavia, non ci sono leggi dirette che regolano la trasparenza di un post sponsorizzato da un Influencer in Giappone. Inoltre, non tutti gli influencer sono a conoscenza del modo giusto di comunicare una partnership.

Per un’azienda, è quindi molto importante educare gli influencer scelti e non lavorare in modo casuale pur di ottenere impressions.

In occidente ormai abbiamo delle linee guida ben definite sull’utilizzo delle sponsorizzazioni tramite Influencer Marketing e queste dovrebbero servire anche per collaborazioni con Influencer giapponesi.

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Fuji san, approfondimento sul simbolo del Giappone

Cima innevata, pendici vertiginose, forma armoniosa e perfetta: il Monte Fuji. Maestoso da togliere il fiato, celebre icona culturale: luogo mistico e spirituale. Non ci sono parole per descrivere ciò che si prova al trovarsi di fronte a questa meraviglia della natura. La sua importanza è tale che spesso si dice che, più che simbolo del Giappone, esso sia, il Giappone.

Monte Fuji 富士山 Il simbolo del Giappone

Autore Ospite: Flavia

Il Fuji (富士山 Fu·Ji·San) è situato nella regione del Chūbu (中部地方), a circa 100 Km a sud-ovest della capitale Tokyo. Sorge tra le attuali prefetture di Yamanashi e Shizuoka, con a est la prefettura di Kanagawa. Tutta l’area, rientra nel territorio del Parco Nazionale Fuji-Hakone-Izu (富士·箱根·伊豆·国立公園Fuji·Hakone·Izu Kokuritsu·Koen). Assieme al monte Tate (立山) e al monte Haku (白山) è parte delle cd. Tre Montagne Sacre ( 三霊山 San·Rei·Zan ) così identificate poiché, appunto, sacre alla tradizione giapponese.

I numerosi siti storico-culturali intorno alla montagna ne testimoniano il grande significato spirituale da sempre attribuitole. In epoca pre-moderna fu infatti meta di pellegrinaggio tanto per monaci impegnati nella ricerca spirituale e nella disciplina di sé stessi, quanto per la gente comune.

Oggi questa connotazione religiosa si è persa. Anche se è ancora diffusa l’idea per cui, salire sulla cima del Fuji almeno una volta nella vita, sia quasi un dovere religioso. Oggigiorno le scalate sono altresì agevolate dai mezzi moderni, grazie a cui il percorso da farsi a piedi è più che dimezzato!

Fonte d’ispirazione per una vasta produzione culturale (letteratura, poesia, arte...), la sua influenza è giunta sino in Occidente. È ormai risaputo quanto le stampe dei maestri Hokusai e Hiroshige, ritraenti il Fuji, abbiano influenzato Monet e Van Gogh.

Il fatto che compaia fra le banconote yen e nel nome della principale emittente televisiva è indicativo del ruolo centrale che riveste per il popolo del Sol Levante. Tanto da essere classificato come “Sito Speciale di Bellezza Scenica” e tutelato come proprietà culturale dall’Agenzia per gli Affari Culturali (branca del MEXT). Nel 2013 è dichiarato Patrimonio Mondiale Culturale dall’UNESCO. Viene inserito nella categoria cultura – piuttosto che natura – poiché il suo impatto va ben oltre la sua essenza naturale. Sono almeno venticinque i siti d’interesse riconosciuti dall’UNESCO, sulla montagna più importante del Giappone.

Fuji

photo credits: expedia.it

Storia geologica del Fuji

Il Fuji si classifica come stratovulcano, ossia un vulcano formatosi dall’accumulo di strati di lava solidificata e ceneri vulcaniche. I suoi pendii particolarmente ripidi, la sua perfetta forma conica e simmetrica sono il risultato di tale processo di sovrapposizione. Presenta un cratere dal diametro di circa 600 metri, profondo 250 metri, e almeno 70 piccole cime secondarie fra cui il Monte Hōei e l’Omuro. La sua attività vulcanica è iniziata più di 100.000 anni fa.

A lungo si è convenuto che vi fossero tre stadi del processo di stratificazione, denominati “Piccola Vetta” (小御岳Ko·Mitake), Vecchio Fuji (古富士Ko·Fuji ) e Nuovo Fuji (新富士Shin·Fuji). Dal 2004 nuovi studi ed esplorazioni hanno invece svelato l’esistenza di una quarta fase Proto-Komitake (小御岳 Sen·Komitake). Attualmente si ritiene che il Komitake si sia originato a seguito di eruzioni prodotte dal Proto-Komitake centinaia di migliaia di anni or sono. Così come circa 100.000 anni fa un'eruzione del Komitake ha dato origine al Vecchio Fuji, la cui vetta è arrivata con le successive eruzioni a circa 2.700 metri. Così il Fuji nel corso dei millenni è andato man mano plasmandosi. Sino a giungere alla forma attuale circa 10.000 anni fa, dopo che anche Vecchio Fuji e Komitake sono scomparsi sotto gli strati di lava.

Ha eruttato nove volte tra il 781 e il 1083, per poi quietarsi per un po’ di secoli. La sua ultima eruzione – che ha formato il Monte Hōei – risale al 1707, cosa che per un po’ ha indotto a classificarlo come dormiente. Ma intorno al 1960 vi è una modifica di definizione: viene definito “attivo” ogni vulcano di cui si sia mai documentata l’eruzione. Nel 2003 un’ulteriore aggiornamento estende la definizione a ogni vulcano che abbia mai eruttato negli ultimi 10.000 anni e che continui a dare segni di attività. In base a queste due ultime denominazioni, il Fuji è ora considerato attivo. Si posiziona a 5 nell’Indice di Esplosività Vulcanica in una scala da 0 ad 8 (al pari dei nostri Vesuvio ed Etna).

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Geografia e territorio del Fuji San

Grazie ai suoi 3.776 metri di altezza, il nostro Fuji si qualifica indiscusso quale vetta più alta del Giappone. Tuttavia, tra il 1895 e il 1945 venne scavalcato da un’altra montagna! Come? Per via degli accordi post-bellici a chiusura del primo conflitto sino-giapponese, con il Trattato di Shimonoseki, quando Taiwan passa sotto il controllo giapponese. Perciò, formalmente, in quegli anni il territorio taiwanese è nipponico. Così, la “Montagna di Giada” taiwanese (玉山 Yu·Shan) – allora denominata dai giapponesi “Nuova montagna alta” (新高山Nii·Taka·Yama) – con i suoi 3.952 metri riesce per 50 anni a scalzare il Fuji-San.

Tre sono i centri abitati che sorgono alle sue pendici (i cui nomi caratterizzano anche tre delle principali vie d’accesso al Fuji): Gotemba (御殿場) a est, Fujinomiya (富士宮) a sud-ovest, Fujiyoshida (富士吉田) a nord.

Cinque, i laghi (富士五湖 Fu·Ji·Go·Ko) che lo circondano: Yamanaka (山中湖); Kawaguchi (河口湖); Saiko (西湖); Shōji ( 精進湖 ); Motosu (本栖湖). Curiosità: quest’ultimo in particolare sarebbe la versione giapponese del Loch Ness. Leggenda vuole che nel 1970 vi abbiano avvistato una creatura di 30 metri dalla pelle ruvida e piena di gobbe: è stata prontamente battezzata Mossie!

In prossimità dei laghi, a nord-ovest, troviamo anche una foresta di 3000 ettari: Aokigahara (青木ヶ原), nota anche col nome di Jukai (樹海) ossia “mare di alberi” (tristemente nota per il primato dei suicidi, seconda in questo solo al Golden Gate Bridge di San Francisco). L’area è altresì ricca di grotte e sorgenti termali.

Mishotai (御正体山) e Shakushiyama (杓子山) a nord-est, Kurodake (黒岳) a nord e Kenashi (毛無山) a ovest, sono invece le vette più prossime da cui è possibile ammirare il Fuji in prima fila.

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Fuji, etimologia e significati: Ma cosa significa “Fuji”?

Prima cosa da notare: il nome “Fuji” esisteva già prima dell’introduzione degli ideogrammi cinesi o sinogrammi. I caratteri utilizzati per indicarlo sono quindi stati scelti in base alla loro pronuncia, affinché quest’ultima coincidesse con la pronuncia preesistente. Scritto come lo è attualmente, ossia 富士山 (Fuji·San), gli viene attribuito il significato di “Montagna Prospera”.

Diverse sono però le opinioni secondo cui in passato “Fuji” abbia significato altro. Tutto dipende sempre dalla scrittura: a una stessa pronuncia può corrispondere più di un significato. Ergo più parole, distinguibili a quel punto dalla scrittura (oltre che dal contesto).

Eccovi le teorie più gettonate relative al significato di Fuji:

  • Montagna senza eguali【不二山】: molto popolare è la teoria secondo cui il nome del vulcano in origine venisse scritto con questi Kanji-ideogrammi– a significare “Montagna senza eguali” (二 è il numero due, quindi “non due”).
  • Monte dell’immortalità【不死山】: Questa interpretazione si basa su tre opere del passato: le antichissime cronache cinesi “Shiki” (史記), il Taketori Monogatari (竹取物語) e il Fuji Sanki (富士山記). I primi riportano dell’esistenza, in cima al vulcano, di un elisir dell’immortalità; il terzo descrive il monte come dimora degli esseri immortali. Il fuoco del Fuji così metafora del “fuoco” inesauribile della vita. Il Taketori Monogatari suggerisce però un’altra etimologia, quella di “montagna ricca di guerrieri” (富 = abbondanza, 士 = guerriero).
  • Montagna senza fine【不尽山】: Molti riconducono tale “essere inesauribile” alla neve poiché la cima è quasi perennemente coperta dal manto di neve.

Si tratta pur sempre di teorie ma, devo dire, che quest’ultima interpretazione sarebbe alquanto precisa. Personalmente non disdegno nemmeno l’alternativa della “Montagna senza eguali”, è certamente azzeccata!

L’equivoco “Fujiyama”

A proposito di nomi del Fuji, appare necessario aprire una parentesi sulla questione “Fujiyama”. Se non altro per coloro che non conoscono la lingua. Da quando è sfuggito alla penna del suo primo trascrittore, ci si potrebbe imbattere in questo termine anche in alcune guide turistiche. Ebbene, si tratta di un equivoco linguistico! Un errore risalente alle prime trascrizioni dal giapponese alle lingue occidentali.

Il carattere 山, che indica la montagna, è pronunciabile con la lettura cinese “san” ma anche con quella giapponese “yama”. La lettura cinese (on’yomi), chiaramente, si deve al fatto che gli ideogrammi vengono dalla Cina. La lettura di origine cinese scatta per lo più quando si hanno parole composte, altrimenti si adopera quella giapponese (kun’yomi). Non sono rare le eccezioni, ma il Fuji non è fra queste.

Ecco perché usare “Fujiyama” come traduzione di “Monte Fuji” (富士山) è un errore. “ 山 ” da solo può essere letto “yama”, ma accostato al nome “Fuji” assume la pronuncia “san”. Pertanto, “Fuji-San” è la sola pronuncia corretta per 富士山 [Monte Fuji].

Caso mai, sarebbe ammissibile la forma “Fuji no Yama” (富士の山 “montagna del Fuji”) poiché 山 e 富士 risultano divisi dalla particella di specificazione の. Effettivamente esiste anche questa espressione, ma è obsoleta, ritrovabile in antiche opere letterarie. Alcuni ravvisano anche la possibile contrazione di tale raro termine da “Fuji no Yama” in “Fuji-Yama”. Anche se fosse, l’eventuale assenza della particella の ne presuppone comunque la presenza, per quanto sottointesa. Cosa che non avviene nella trascrizione errata “Fujiyama”, dove nulla è contemplato fra “Fuji” e “Yama”. Indi, quest’ultimo rimane sempre un errore.

Altre versioni auliche o comunque in disuso sono:

  • Fu-Gaku (富岳 “Cima abbondante”);
  • Fuji no Takane (富士の高嶺 “Alta vetta del Fuji”);
  • Fuyō-Hō (芙蓉峰 “Sommità del loto”).

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La sacralità delle montagne nella tradizione giapponese

Montagne e vulcani da sempre hanno un posto speciale nella spiritualità giapponese che sin dagli albori attribuisce loro un significato particolare. Esse sono viste come luoghi misteriosi, sede di spiriti tanto buoni quanto cattivi. Una montagna o un vulcano è decisamente un posto speciale, sacro. Una divinità, oppure la sede di una/più divinità, percepita dal popolo come protettrice della comunità tutta.

Questa sensibilità autoctona – preesistente al Buddhismo – era una forma di sciamanesimo sfociato in quelle credenze e pratiche che vanno a costituire lo Shintoismo. Lo Shintō rese la natura oggetto di culto in quanto manifestazione terrena dei Kami (神 Divinità). Non solo le montagne ma anche le rocce, gli alberi, i fiumi e le cascate, i laghi...tutti sono percepiti come espressione terrena dei Kami. Il Fuji ad esempio è definito nello Shintō anche come “Yama no Kami” (山の神).
Tale pratica Shintō di venerazione delle montagne rientra nella Kannabi Shinkō (神奈備信仰 “Fede Kannabi”). Sono “Kannabi” tutti quei luoghi sacri adibiti a celebrare e ringraziare i Kami; nel caso delle montagne, la/le divinità o spiriti della montagna.

A tale concezione autoctona si intreccia poi la visione buddhista della montagna come luogo ascetico per la ricerca dell’Illuminazione e la realizzazione della Buddhità; quella taoista, della montagna come luogo mistico, di armonia Yin-Yang e dei cinque elementi; quella confuciana, della montagna come luogo cosmico che collega tutti gli esseri viventi nella comune ricerca dell’armonia e della realizzazione di sé (non in senso egoistico, naturalmente).

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L’antica fede Fuji: perché venerare una montagna?

La questione è molto semplice ma piena di significato. I giapponesi hanno sempre guardato al Fuji – alla natura in generale – con gli occhi di un bambino, oserei dire. Con attenzione verso i suoi comportamenti, reagendo ed adattando le loro azioni di conseguenza. Tanto per cominciare, e prima di ogni cosa, questo “guardare”, da solo, è distintivo del tipo di approccio che contraddistingue questo popolo. Entra poi in gioco il come hanno osservato, ossia, con attenzione. Il che ci porta allo step tre: la loro risposta in seguito a quanto hanno colto. Una risposta tanto pertinente quanto l’iniziale, attenta, osservazione. Una risposta che altro non comunica se non la presa d’atto “io ho ti riconosco, ho riconosciuto la tua esistenza; rispetto la tua volontà”. Solo una percezione attenta poteva portare a questo tipo di risposta.

Allora pensate al Fuji, così imponente, così perfetto...e così esplosivo in epoca antica: gli antichi giapponesi non poterono che rimanere impressionati, da cotanta manifestazione. I primi insediamenti di cui vi è traccia sono antichissimi: risalgono a un periodo compreso tra 11.000 e 13.000 anni fa, chiamato Jōmon Incipiente (primissima era preistorica giapponese). Ebbene, tra le altre cose, si sono rinvenute delle pietre, la cui disposizione indicava inequivocabili segni cerimoniali!

La sua potenza, unitamente alla sua imponenza, hanno portato gli antichi giapponesi a temerlo e ad ammirarlo contemporaneamente. Giungendo alla conclusione che quel vulcano così potente doveva per forza essere espressione di una divinità o proprio una divinità (神Kami). Per ovvie ragioni, si tese a ritenerlo una divinità del fuoco. Così il Fuji iniziò ad essere venerato con l’intento di scongiurarne le eruzioni, inevitabilmente interpretate come ira della divinità ivi presente.

La natura di questa antica fede autoctona rimane in ogni caso un po’ misteriosa, ma non deve stupire. In fondo, stiamo parlando di tempi davvero antichi.

Fuoco e Acqua: il dualismo del Fuji-Kami

Una cosa che però si riesce a ravvisare con più sicurezza è quel duplice atteggiamento/reazione di ammirazione e paura da parte degli antichi giapponesi. Nonostante il suo carattere fumino – mi si passi il termine – dell’epoca, il Fuji non era infatti percepito come mera divinità intrattabile o malvagia. Era semplicemente quello che era. E gli avi giapponesi ne consideravano anche i lati positivi...quasi tutti confluenti in un’unica parola: acqua.

Nei tempi antichi l’acqua del Fuji ha infatti rappresentato un’importante fonte di sostentamento per gli abitanti delle zone limitrofe oltre che per la fauna e la flora. Basti pensare che l’abbondanza di acqua – e di cibo – fu considerato motivo valido per voler continuare a vivere vicino al vulcano, a dispetto del pericolo da esso rappresentato.
Ancora oggi le abbondanti piogge e nevicate che ogni anno vi si riversano sono decisive al mantenimento o alla formazione nel sottosuolo di fiumi e sorgenti. E ancora oggi l’acqua delle montagne – e le montagne stesse – sono viste come fonte di fertilità (si pensi alle coltivazioni del riso). Inoltre l’acqua del Fuji era ritenuta anche sacra, tanto che successivamente verrà adoperata per le abluzioni e le purificazioni a scopo religioso/spirituale.

Il Fuji dunque era visto in modo duplice come fuoco e acqua–vulcano e sorgente–, divinità del fuoco e contemporaneamente sorgente di purificazione. Paura e rispetto per il potere del vulcano: semplicemente due facce della stessa medaglia. La dualità, in verità, è una caratteristica propria di questo popolo (lo si ritrova nella storia, nella lingua…). A quanto pare, nemmeno il Fuji ne è esente!

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Santuari Sengen-Asama

Le ire del divino-Fuji furono molto frequenti fra la fine del VIII e la metà X secolo. Così, verso il IX secolo, i santuari ad esso dedicati iniziarono a spuntare come funghi, non solo alle pendici del vulcano, ma in tutto l'arcipelago. Si parla di santuari Asama o Sengen (浅間) quando si tratta della divinità del Fuji (浅間の大神Asama/Sengen no Ōkami). I termini Asama e Sengen sono soltanto due letture diverse della stessa parola. Tuttavia, mentre “Asama” lo si può ritrovar riferito anche ad altre montagne, “Sengen” finisce per identificare tutti i santuari di culto Fuji, in particolare quelli alle sue pendici.

Spesso si legge che il Kojiki (古事記) – “Racconti degli antichi eventi” – associa la divinità del Fuji alla figura della dea Kono Hana Sakuya Hime (木花咲耶姫). Stando al mito, la dea “Principessa che fa fiorire gli alberi” discenderebbe direttamente da Izanami e Izanagi, divinità originarie creatrici dell'arcipelago giapponese. Se è vero che la più antica raccolta narrativa giapponese narri della Sakuya-Hime e di suo padre, il dio Oyamatsumi (大山津見神 “divinità montagna”), l’associazione al Fuji non è però così scontata. Avverte infatti lo storico Byron Earhart – tra le fonti principali del presente articolo – che questo collegamento è in verità recente. E che il Kojiki, in realtà, non farebbe alcuna connessione diretta fra il Fuji e la dea.

Ad ogni modo, è in tali santuari Sengen che hanno luogo quei rituali atti a prevenire le catastrofi provocate dal dio vulcano Sengen-Asama. Al quale, sempre al fine di placarne le ire, viene addirittura attribuito il titolo di Myōujin (明神 “Kami illustre”) ossia “Divinità Illustre”. I rituali consistevano in riti di pacificazione e di ringraziamento, accompagnati dalla lettura di sutra buddhisti.

In questa fase del culto però il Fuji non viene ancora scalato ma, piuttosto, venerato da lontano. Complice sicuramente il fatto, che intorno all’XI secolo la sua attività vulcanica è ancora instabile. È solo con l’inserimento del Buddhismo Esoterico in questa cornice – e col termine delle eruzioni – che i pellegrinaggi religiosi avranno inizio.

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Shugendō: dove lo Shintō incontra il Buddhismo

Non si può parlare di Fuji senza parlare di Shugendō. È infatti questa pratica ad accrescere significativamente la popolarità del Fuji attraverso l’ascetismo. Shugendō (修験道 “Via della Pratica Ascetica”) è l’incontro fra tradizione Shintō e Buddhismo Esoterico. Un ibrido fra le pratiche sciamaniche autoctone e la ritualità buddhista. Tale “ibridizzazione” consiste tanto in un mix di elementi di ciascuna tradizione quanto in una coesistenza degli stessi (alcuni elementi Shintō ad esempio rimangono ben intatti).

Lo Shugendō prende forma verso la fine del periodo Heian (794-1185) ma il Buddhismo “montano” degli asceti Saichō e Kūkai di epoca Nara ne è precursore. Come sappiamo, intorno al 1083 il Fuji cessa la sua intensa attività. Da allora inizia a venir identificato come luogo di “apparizione dei Buddha”: un posto per tutti coloro alla ricerca di un cammino spirituale. Cammino inteso anche in senso vero e proprio, come testimoniano i pellegrinaggi spirituali che man mano divengono sempre più un “fenomeno”. I praticanti, noti principalmente come Yamabushi (山伏) o Shugenja (修験者), includevano diversi tipi di asceti oltre ai monaci veri e propri.

Si riconducono le sue origini alle figure semi-leggendarie del principe Shōtoku (cui si sarebbe ispirato il sopra citato Saichō) e del mistico-asceta En no Gyōja o En no Ozunu. Leggenda vuole che sia il principe sia Ozunu abbiano raggiunto il Fuji in volo– proprio in stile mago taoista (仙人 Sen·nin). En no Ozunu è ricordato come il leggendario fondatore dello Shugendō, colui che avrebbe portato rituali e pratiche ascetiche sulle montagne.

Lo Shugendō è chiave poiché elabora e sviluppa la pratica montana nata in epoca Nara, portandola al Fuji. E rendendo quest’ultimo popolare come luogo d‘ascesi spirituale. Elemento fondamentale che lo caratterizza sono le esperienze ascetiche dei suoi principali esponenti e gli insights che ne ricevono, determinanti nella sincretizzazione fra Kami shintō e divinità buddhiste.

Murayama Shugendō, Matsudai e Raison

Se En no Gyōja è il fondatore “leggendario” dello Shugendō, più storici sono invece Matsudai (fine Heian) e Raison (presumibilmente fine Kamakura). I due asceti, che costituiscono lo Shugendō legato al Fuji.

Matsudai, il “Santo del Fuji” (富士上人 Fuji Shōnin) – secondo le cronache il primo a scalare la montagna – è colui che lo inaugura come luogo per le pratiche ascetiche. Nel 1149 avrebbe infatti eretto sulla sua cima una prima forma di tempio dedicato al Dainichi Nyorai (大日如来 il “Grande Sole-Buddha”). Operando così un primo sincretismo fra la divinità del Buddhismo Esoterico e Sengen-Asama Ōkami. Tuttavia poiché, allora come oggi, le condizioni lassù sono impervie pressoché tutto l’anno, Matsudai pone la base del neo-movimento alle pendici del monte. Precisamente, nella località di Murayama (l’odierna Fujinomiya)– da cui il nome “Murayama Shugendō”. Un complesso di templi inizia a sorgere tutt’intorno al monte. Da allora Murayama Shugendō diviene un movimento di entità tale, da esercitare pieno controllo sul monte (arrivando addirittura a riscuotere “pedaggi” per l’accesso alla cima).

Ma se Matsudai fa da apripista, è il monaco Raison a dare al movimento una struttura veramente organizzata. Attraverso la rete di templi, pratiche religiose e i percorsi – “inaugurati” sotto Murayama –, il Fuji diviene istituzionalizzato.

Si dice infatti che Matsudai dà al movimento la struttura verticale mentre Raison quella orizzontale. Raison apre la pratica ascetica sul monte anche alla gente comune, stabilendo contatti con i cosiddetti asceti laici (行人 Gyōnin) e i leader di gruppi locali. Questo segna già una piccola differenza da Matsudai, ai cui tempi invece il movimento era più che altro legato alla corte e alla famiglia imperiale (e successivamente alla classe dominate feudale).

L’opera di Raison fa così da apripista ai successivi pellegrinaggi di massa, portando però in sé anche il seme del declino del movimento. Complice l’avvento dell’epoca Sengoku, con l’aumento dei flussi verso il monte, ad un certo punto Murayama Shugendō non riuscirà più a controllare tutti i percorsi. L’uccisione del daimyō di Suruga poi–su cui il movimento poggiava–sarà il colpo finale che segnerà il tramonto di Murayama.

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Fuji-Ko ( 富士講 ), Kakugyō e Miroku

È dunque l’intreccio con la politica e le classi dominanti a trascinare in basso il Murayama Shugendō. Anche perché, i nuovi tempi richiedevano nuove risposte ai nuovi paradigmi storici che si stavano verificando. Siamo nell’epoca Sengoku (戦国), la dura era degli Stati Combattenti: un’era segnata da fame, disordine generale e terribili battaglie, dove nulla era stabile. Nel contesto di questi drammi, la gente aveva bisogno di nuove risposte. È in questo frangente che si originano quei gruppi religiosi noti come Fuji-kō (富士講). “Confraternite” che si rifacevano al culto popolare ispirato al Fuji e che individuavano nel Fuji il proprio luogo di culto. L’enfasi sull’inclusione di tutte le classi sociali, è ciò che distingue i Fuji-kō dal Murayama Shugendō.

È in questa cornice che entrano in gioco le figure di Kakugyō e – un po’ più tardi – Jikigyō Miroku (1671- 1733). Kakugyō con la sua attività accresce ulteriormente la fama del Fuji, facendo sì che moltissime persone comuni giungessero al monte, andando a costituire tali associazioni (講). Stessa cosa fa Miroku, tuttavia, con un atto di suicidio rituale sul monte, che pone il Fuji ancor più sotto i riflettori. Per questo, entrambi, sono ritenuti ispiratori del culto popolare Fuji-kō.

L’esperienza di Kakugyō aggira la tradizione Murayama, divenendo a sé stante rispetto a quella di Matsudai e Raison. Le rivelazioni che egli avrebbe ricevuto prima dallo spirito di En no Gyōja e poi dalla divinità sincretizzata del Fuji Sengen-Dainichi sono fondamentali. Gli sarebbe stato rivelato infatti che il Monte Fuji e la sua divinità sarebbero la fonte di tutto ciò che esiste. Che tutta la sofferenza di quel periodo era dovuta a uno squilibrio fra cielo e terra. E il modo per porvi rimedio, quello di unificare la fede Fuji in un sistema “cosmologico” di pratiche benefiche aperte a tutte le persone. Da ciò consegue la missione di Kakugyō, di unificare pratiche e credenze relative al Fuji come base del culto popolare dei Fuji-kō.

L’attività di Kakugyō è contraddistinta dalle purificazioni e abluzioni nei laghi intorno al Fuji. Nonché dalle pratiche ascetiche nelle Hitoana (人穴), le caverne del vulcano indicategli dall’essenza di En no Gyōja nella prima rivelazione, dove poi entrerebbe “in contatto” diretto con il Sengen-Dainichi.

Fuji Mandala

Ebbene sì, anche in Giappone c’erano i mandala! Originari dell’India, e passando per la Cina, attraverso il Buddhismo giunsero anche nella Terra del Sol Levante. Vogliamo ricordarli, perché furono uno strumento caratteristico e funzionale per il Buddhismo Esoterico di epoca Muromachi. I suoi praticanti se ne servivano per giungere alla comprensione della Verità Cosmica e come supporto durante le meditazioni.

Tali mandala rappresentavano l’ordine universale delle cose–la cui essenza è la Buddhità–e il rapporto fra questa e le sue manifestazioni terrene. Far propria tale verità a sole parole non venne ritenuto sufficiente e, per questo, si riconobbe nel linguaggio iconografico il modo migliore per interiorizzarla. L’immagine, più che la parola, pare lo strumento prediletto da questo popolo per entrare in contatto con l’essenza delle cose. In fondo, anche gli ideogrammi, cosa sono se non immagini?

Nello specifico, i Fuji mandala rappresentano il percorso ambivalente dei pellegrini– ossia quel cammino geografico e spirituale che decidevano di percorrere. Tipica di quest’epoca, la rappresentazione delle tre vette del Fuji associate alla triade delle divinità buddhiste Dainichi, Yakushi e Amida (oltre che alla dottrina Isshin Sangan 一心三観). Tanto popolare era, che le tre vette divennero una consuetudine dell’iconografia Fuji. Facendo salve naturalmente, le normali variazioni caratteristiche di ogni tempo.

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Meisho (名所): il Fuji nelle arti

I meisho (“celebre località”) sono quei luoghi scolpiti nell’immaginario collettivo poiché resi celebri dalle arti giapponesi. Sono un riflesso di quel rapporto speciale con la natura, da cui i giapponesi hanno sempre tratto ispirazione. La natura viene associata agli stati d’animo e l’immagine, è il modo migliore con cui questo popolo riesce a dar voce ai sentimenti più reconditi. Stagioni, ritmi e colori della natura, luoghi…divengono così essenziali, nella loro specificità, a esprimere stati d’animo altrimenti difficili da descrivere a parole. L’attenzione verso la natura viene così espressa attraverso un senso estetico che trascende la rappresentazione stessa dell’“oggetto”.

Tale tendenza si riscontra già in epoca Nara (VIII sec.), quando la tradizione scritta ancora non si era del tutto affermata. È di questo periodo l’antologia poetica Man’yōshū (万葉集 “Raccolta di diecimila foglie”). Il Man’yōshū parla del Fuji come di un dio “misterioso”, dai “fuochi ardenti”; lo dipinge come montagna ideale e ne evidenzia l’importanza come divinità protettrice. Che una delle primissime opere scritte ci parlino subito del Fuji è indicativo. Significa che il monte si era in qualche modo “installato” nell’immaginario collettivo, come meisho, già prima del passaggio alla tradizione scritta! E ciò benché a quel tempo non fosse ancora emerso come icona assoluta (seppur kami, era ancora “solo” una delle tante montagne sacre esistenti).

Intorno al XIII secolo inizia a farsi marcatamente più protagonista. In epoca Muromachi diviene centrale tanto come soggetto religioso (appunto, come nei Fuji Mandala) quanto come icona prettamente paesaggistica (pitture ad inchiostro in stile cinese). Tra queste, le “Otto vedute del Fuji” segnano l’inizio delle rappresentazioni del Fuji in serie, ispirando in epoca Edo i capolavori dei maestri Hokusai e Hiroshige.

Altre celebri opere in cui il Fuji fa la sua comparsa: Letteratura Taketori Monogatari (竹取物語) e Ise Monogatari (伊勢物語) entrambi del X secolo; i romanzi degli scrittori contemporanei Natsume Sōseki e Dazai Osamu. Arti visuali Le pitture su rotolo Shōtoku Taishi Eden/Emaki del XI secolo; le xilografie Ukiyo-e di Hokusai e Hiroshige dei secoli XVIII-XIX; e, naturalmente, fotografia e cinema in epoca moderna.

Scalare il Fuji ai giorni nostri

Quattro sono le vie d’accesso o percorsi possibili verso la vetta. In ordine crescente di altitudine:

  • 1450 m, sentiero Gotemba – il più lungo di tutti, privo di centri di assistenza medica, è poco gettonato;
  • 2000 m, sentiero Subashiri – meno gettonato e, forse per questo, privo di centri di assistenza medica;
  • 2300 m, sentiero Yoshida – il più popolare, poiché più semplice e pieno di servizi (rifugi, centri medici..) dunque ideale anche per i principianti;
  • 2400 m, sentiero Fujinomiya – il più breve ma anche il più ripido in assoluto, presenta un centro medico ed è mediamente affollato.

Tutti e quattro partono dalla 5ᵃ stazione (il termine “stazione” indica il livello di difficoltà della scalata): dalla 7ᵃ sino alla 9ᵃ, l’ultima, il livello è massimo. Tra salita e discesa il tempo totale è di circa 10-12 ore. Occorre dunque pianificare, e tenere presente che una parte della scalata andrà fatta di notte. Infatti, se volete essere presenti allo spettacolo del sorgere del sole – meta di quasi tutti i visitatori – il consiglio è quello di calcolare bene i tempi in modo da giungere al rifugio fra le 16.00 e le 19.00. Di riposarsi sino a mezzanotte, per poi proseguire la scalata per circa 4 ore arrivando in cima giusti, giusti per l’alba (alle 4.30!).

La stagione ufficiale delle scalate va grosso modo da inizio luglio a fine agosto (massimo, fino metà settembre). Varie cerimonie Shintō aprono l’accesso al Fuji il 1. luglio e si concludono con una grande fiaccolata nel santuario di Yoshida il 26 agosto. Avventurarvisi fuori da queste date è possibile…ma fortemente sconsigliato! Poiché il clima è sempre severo e peraltro, fuori stagione, i rifugi restano chiusi. Infatti ogni anno purtroppo si registrano dei morti, vuoi per valanghe, per scivolamento o assideramento…perciò, a meno che non siate superman, non andateci fuori stagione!

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No al “Bullet Climbing”

Quando si sale il Fuji, viene consigliato in ogni caso di arrivare alla 5ᵃ stazione e di fermarvisi per almeno un paio d’ore, prima di riprendere la salita, in modo da consentire al proprio corpo di adattarsi a clima e altitudine; di idratarsi sempre molto, oltre a fare diverse pause durante la scalata. È sempre sconsigliato, a maggior ragione ai principianti, di tentare il tutto nelle ore diurne per rientrare al tramonto. Pur cominciando la salita al mattino presto e prendendosela con calma, l’impresa può rivelarsi faticosa. Lo dimostra l’impennata nei malori in seguito a cui lo stesso governo nipponico si è visto obbligato a dissuadere dal praticare le “scalate pazze” o Bullet Climbing (“scalata proiettile”).

A proposito: lo sapevate che fino al XIX secolo le donne potevano salire fin solo alla 2ᵃ stazione? Lì, le si faceva attendere il ritorno dei loro congiunti uomini, addentratisi invece oltre. Questo perché un tempo non le si riteneva in grado di sopportare le dure condizioni del monte e che questo avrebbe intralciato i praticanti in isolamento. Pensate che la prima donna a salire sul Fuji nel 1833 lo fa camuffata da uomo! Sempre del XIX secolo poi, anche i primi stranieri in vetta.

Quando e dove ammirarlo al meglio

Le stagioni migliori in cui poterlo ammirare senza continue intromissioni da parte delle nuvole, rimangono sempre l’autunno e l’inverno– da novembre a febbraio. In particolare l’inverno, nei mesi di dicembre e gennaio, che se la giocano a seconda del tempo e del clima. Alcuni anni infatti la visibilità è migliore a dicembre, altri a gennaio.

La visibilità non è ottimale invece tra aprile e agosto, in particolare nei mesi di aprile, giugno e luglio, quando risulta particolarmente ridotta; ma anche a settembre, essendo quest’ultimo periodo di tifoni.

Insomma, a risultare determinante in termini di visibilità, più che le condizioni metereologiche (giornata di sole non equivale a buona visibilità!), sono le stagioni.
Tra fine estate e inizio autunno, si verifica poi il fenomeno del Fuji Rosso così definito per via della colorazione che il monte assume all’alba. Poiché il periodo in cui avviene è appunto circoscritto, assistervi è considerato di buon auspicio. In particolare per gli affari e la fertilità (sembra che i giapponesi vedano nel Fuji in modalità Rossa una donna in stato interessate!). In generale, che porti fortuna e faccia avverare i propri sogni.

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Il momento migliore della giornata in cui osservarlo per intero è sempre la mattina, in particolare alle 8.00. Più avanti si va nella giornata infatti e meno risulta visibile–per intero–in modo ottimale.

Da Tokyo è visibile – foschia o nubi permettendo – in particolare da: Palazzo del Governo Metropolitano a Shinjuku (al 45esimo piano, ingresso libero!), Roppongi Hills, dall’iconica Tokyo Tower, ma soprattutto dall’imponente SkyTree. È possibile farlo anche dal 5° piano dell’Aeroporto Internazionale di Haneda, aperto 24 ore su 24! Buono a sapersi, in caso si sia in attesa di un volo proprio nel frangente dell’alba…no?

Da tenere presente poi anche la località Miho no Matsubara (三保の松原), storica per la veduta del monte Fuji. E, in primavera, lo spettacolo del “tappeto” dei Shibazakura, fiori di muschio rosa che ricoprono i prati ai piedi del monte. Ogni anno per l’occasione viene celebrato il Shibazakura Festival (芝桜祭).

Se ne può avere un’ottima visuale anche dal Monte Takao, a 1 ora da Shinjuku, ideale qualora si debba rimanere vicini a Tokyo. Infine, opinione del tutto personale: la vista del Fuji che si erge sullo sfondo della città di Yokohama, al tramonto, è semplicemente meravigliosa. Ho potuto osservarla da una delle mini-crociere disponibili nella baia.

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