Dieci cose che non si sanno su Hachiko

Tutti, ma proprio tutti conoscono la storia del fedele Hachiko, il cane che negli anni 30 commosse i cuori di tutto il mondo per la sua fedeltà profonda, non tutti però conoscono alcuni particolari su questo dolce cane la cui statua simbolo si erge a Shibuya.

10 cose che non si sanno su Hachiko

Autore: Sara

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1- Le Origini

Il bellissimo Akita-inu nacque nel 1923 a Odate nella prefettura di Akita (da cui deriva il nome della razza, “cane di Akita”) e venne acquistato dallo scienziato Hidesaburo Ueno che lo chiamò Hachi, “8”. Proprio ad Odate, di fronte alla stazione, si trova un’altra statua di Hachi un santuario e il museo Akitainu Hozonkai.

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2- L’amore che vince la cattiveria

Quando Ueno morì nel 1925, Hachi trovò una nuova sistemazione presso l’ex giardiniere dello scienziato, Kikuzaburo Kobayashi a Tomigaya, poco lontano da Shibuya. Ogni giorno il fedele cane si recava così alla stazione di Shibuya ad attendere il ritorno di Ueno, ma per 10 anni questa “passeggiata” non fu sempre tranquilla: Hachiko venne maltrattato e picchiato svariate volte da pedoni, bambini e persone prive di una qualsivoglia umanità. Vergognoso, non è vero?

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3- Hachi diventa Hachiko

Nel 1932 il presidente della Nihon Ken Hozonkai, associazione per la conservazione del cane giapponese, Hirokichi Saito venne a conoscenza della storia di Hachi e scrisse un articolo raccontando le peripezie e i maltrattamenti subiti da questo fedele cane trasformandolo in breve tempo in un simbolo. Fu a questo punto che venne aggiunto il suffisso “ko” al nome di Hachi per dimostrare rispetto per la sua devozione e lealtà.

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4- La Statua onorifica

Teru Ando, conoscente di Saito, scolpì la famosa statua di Hachiko (mentre il cane era ancora in vita!) che venne inaugurata nel 1934. Prima che ciò avvenisse numerosi truffatori tentarono di spillare soldi sostenendo di essere loro i creatori della statua! Non c’è davvero mai limite all’avidità umana…

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5- La Fusione delle Statue

La Seconda Guerra Mondiale non risparmiò nulla, nemmeno le statue di Hachiko. Il metallo con il quale erano costruite doveva essere impiegato “per il bene della guerra” e quindi vennero fuse.
Alla fine della guerra del Pacifico il figlio di Ando, Takeshi, costruì l’attuale statua a Shibuya. Anche quella alla stazione di Odate venne ricostruita nel 1967.

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6- Hachiko e Ueno per sempre insieme

Fin’ora abbiamo sempre parlato delle statue dedicate al cucciolo, ma ne esiste un’altra, bellissima, che riunisce Hachiko ed il suo padrone. Fu costruita 80 anni dopo la morte di Hachiko, quando l’università di Tokyo decise di rendere omaggio ai due protagonisti della triste storia. Grazie alla donazioni provenienti da privati ed aziende, oltre 10 milioni di yen hanno reso possibile la riunione tra il cane ed il suo padrone. Oggi la statua sorge nel campus dell'Università di Tokyo, proprio accanto al Parco Ueno.

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7- Un Cimitero ricco di fascino

Credo di essere tra i pochi che adorano visitare i cimiteri e quello di Aoyama, risalente al 1872, si colloca sicuramente tra i più belli: vicino alle stazioni di Gaienmae e Aoyama Itchome, si estende come se fosse un immenso parco ed ospita numerosi personaggi famosi le cui pietre tombali si ergono svelando un’architettura unica. Naturalmente Ueno giace proprio qui ed accanto alla sua tomba vi è un monumento eretto subito dopo la morte di Hachiko nel 1935.

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8- Tra il macabro e la scienza

Questo punto lo definirei quasi disgustoso, ma se avete il coraggio (e lo stomaco) di ferro allora sappiate che è possibile osservare gli organi interni di Hachiko conservati in bottiglie campioni al museo dell'archivio della Facoltà di Agraria dell'Università di Tokyo, vicino al Parco Ueno. Varie autopsie eseguite tra il 1935 e il 2010 avevano riscontrato infestazioni da malattie parassitarie e, infine, un cancro, vera causa della morte di Hachi. Presso il Museo Nazionale della Natura e della Scienza esiste anche un Hachiko tassidermizzato con la pelliccia originale del cane…...

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9- I Protettori di Tokyo

Nel parco di Ueno si erge anche la statua del samurai Saigo Takamori con la sua fedele Tsun. Tsun e Hachiko sono divenuti presto un simbolo per i giapponesi e dichiarati i “protettori di Tokyo e dell’economia giapponese”.

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10- Richard Gere come Ueno?

Sono sicura che tutti (o quasi) abbiano visto il film “Hachiko - Il tuo migliore amico” (Titolo originale: “Hachi: A Dog's Tale”) , ma vi siete fermati a pensare che questa pellicola del 2009 è ambientata negli Stati Uniti? La storia è comunque straziante e bellissima, ma non riesce a portare alla luce la cultura nipponica come invece riesce a fare il film originale del 1987, “Hachiko Monogatari”


Nara, la capitale del Buddhismo in Giappone

Il Giappone come l'Italia ha tantissime mete turistiche e fra queste troviamo i sette templi di Nara, una meta ricca di storia e cultura.

I 7 Templi di Nara, la capitale del Buddhismo

Autore: Sara

Chi si avvicina per la prima volta alla cultura del Sol Levante è portato a credere che il Buddhismo sia da sempre stata una filosofia strettamente nipponica anche grazie ai numerosi templi sparpagliati per il Paese. In realtà pochi sanno che fu un re coreano ad “esportare” questa religione in Giappone! Tutto iniziò quando la prefettura di Nara era il centro della politica, della cultura e dell'economia del Paese. Il popolo giapponese era prettamente shintoista cioè seguace dello "Shinto" (神道): una religione politeista di tipo animista che verte attorno all'esistenza di molti Kami ("dei", "spiriti") che si crede abitino tutte le cose. Nel 552, il re Seond di Baekje, regno sorto nel sud ovest della penisola di Corea, portò alla corte giapponese una statua di Shakyamuni (Buddha storico) e numerosi satra. L'imperatore dell'epoca, Kimmei, ne rimase attratto e lentamente il buddismo si affermò come nuova religione di Stato.

Nara divenne così Nanto Shichi Daiji (南都七大寺), la capitale dei templi buddisti costruiti su ordine imperiale, oggi patrimonio mondiale, e comprende:

  • Horyuji(法隆寺)
  • Houkiji (法起寺)
  • Todaiji(東大寺)
  • Kofukuji(興福寺)
  • Gangoji (元興寺)
  • Yakushiji (薬師寺)
  • Toshodaiji (唐招提寺)

I sette templi di Nara

Nara

photo credits: https://www.japan-guide.com

Horyuji

Il tempio Horyuji è il primo sito ad essere stato designato patrimonio dell’UNESCO in Giappone. Fondato nel 607 dal principe Shotoku su desiderio del padre, l'imperatore Yomei, venne ricostruito nel 670 a seguito di un incendio che lo bruciò quasi completamente e oggi è considerato la culla del buddismo giapponese. La superficie sulla quale si estende il largo complesso del tempio può essere suddivisa in lato ovest, Saiin garan (西院伽藍, ove sono situate la pagoda a cinque piani, la sala d'oro, il corridoio e il portale interno) e lato est, Toin garan (東院伽藍, dove sorge l’ottagonale Yumedono (夢殿, la sala delle visioni).
Sito Ufficiale: http://www.horyuji.or.jp/assets/images/pdf/english.pdf

Nara

photo credits: masterpiece-of-japanese-culture.com

Houkiji

Questo tempio dalle molteplici identità (è infatti conosciuto anche come Okamoto-dera 岡本寺, Okamotoniji 岡本尼寺, Ikejiri-dera 池後寺 e Ikejiriniji 池後尼寺) sorge a poco meno di 2 km da Horyuji. Originariamente fu il palazzo della famiglia di Shotoku Taishi, ma prima di morire egli ordinò al figlio Yamashirono-ooenoo di ricostruirlo sotto forma di tempio. Houkiji è costituito da una sala principale ed una pagoda a 3 piani, alta circa 23 metri: la più grande e antica del suo genere in Giappone (fu costruita nel 685). Un simbolo di questo tempio è senza dubbio il Kannon di legno a 11 teste e il Bosatsu di bronzo (entrambi dei della compassione)
Sito Ufficiale: http://www.horyuji.or.jp/assets/images/pdf/english.pdf

photo credits: shoreexcursions.asia

Todaiji

Todaiji fu fondato dall’imperatore Shomu nel 752, con il mero scopo di ospitare la statua del Grande Buddha nella Grande Sala (Daibutsuden). Dopo 7 lunghi anni di realizzazione, il tempio fu bruciato a seguito della guerra nel 1180 e continuò a subire le conseguenze dei conflitti fino al 1567. Restaurato ogni volta, la forma attuale del tempio risale al 1709 ed il suo Buddha seduto rappresenta Vairocana ed è fiancheggiato da due Bodhisattva. I terreni del tempio si estendono per quasi tutta la parte settentrionale del parco nazionale di Nara: per questo motivo non è raro imbattersi nei famosi cervi in cerca di attenzione!
Sito Ufficiale: http://www.todaiji.or.jp/english/index.html

Nara

photo credits: japanvisitor.com

Kofukuji

Kofukuji era originariamente il tempio del potente clan Fujiwara e uno dei templi principali della setta Hosso (法相宗), una delle sei sette di Nanto. Il tempio è costituito da diversi edifici di importante valore storico e ben due pagode: una di cinque piani e una di tre piani, che purtroppo non possono essere visitate. A supplire questa mancanza però, c’è il Museo del Tesoro Nazionale nel quale è possibile ammirare la statua di Ashura e la testa di bronzo di Buddha.
Sito Ufficiale: https://www.kohfukuji.com/english.html

Nara

photo credits: kintetsu.co.jp

Gangoji

Fondato da Soga no Umako, Gangoji è tra i più antichi templi del Giappone, essendo stato trasferito da Asuka a Nara nel 718. Quasi come una tetra tradizione, anche questo tempio subì l’ira della natura e la devastazione del fuoco e nel 1451 quasi tutta la struttura venne distrutta e non fu più possibile recuperare l’antico splendore di Gangoji se non per la sala Zenshitsu, posta sul retro, unica superstite originaria.
Sito Ufficiale: https://gangoji-tera.or.jp/

photo credits: japan-guide.com/

Yakushiji

Esattamente come Kofukuji, anche Yakushiji è il tempio principale della setta Hosso del buddismo. Fu costruito dall’imperatore Tenmu per sua moglie nel 680. Come ogni tempio, anche questa volta troviamo una grande statua del Buddha: in questo caso Yakushi-Nyorai possiede il potere della guarigione ed è in grado di dare conforto. Inoltre Yakushiji possiede due pagode, una sala dorata ed una collezione di oggetti d'arte buddista, tra cui una Triade Yakushi, un Kannon-Sho e dipinti di grande pregio
Sito Ufficiale: http://www.nara-yakushiji.com/

Nara

photo credits: toshodaiji.jp/

Toshodaiji

Toshodaiji è stato il primo tempio fondato nel 759 da un sacerdote cinese, Ganjin, che venne inviato dall’imperatore con lo scopo di insegnare ai sacerdoti e migliorare il buddismo in Giappone. I suoi insegnamenti ebbero una grande influenza per il Paese ed oggi è il tempio principale della setta Rishu (律宗). La sala principale, Kondo, contiene ben 9 statue di Buddha!
Sito ufficiale: https://www.toshodaiji.jp/english/index.html

7 Templi, 7 affascinanti meraviglie dedicate alla cura dell’anima: nonostante possano sembrare estremamente simili tra loro, ogni costruzione è caratterizzata da elementi unici e preziosi da scoprire ed ammirare! Che ne dite di dedicare un po’ del vostro tempo a passeggiare per Nara alla scoperta di questi luoghi devoti? Ci siete già stati? Fateci sapere le vostre impressioni ed emozioni!

photo credits: thejapanesedreams.com


I meravigliosi giardini del Giappone

Con Japan Italy Bridge abbiamo già affrontato un deep focus sul Palazzo Imperiale e i suoi giardini, ma quelli non sono gli unici giardini del Giappone. Oggi vi parleremo degli spazi verdi più belli del Sol Levante.

Giardini del Giappone, il verde in mezzo alla modernità

Autore: Sara

giardini del Giappone

photo credits: giardiniepiscine.it

Ogni Paese del mondo per quanto evoluto, tecnologico e caotico sia, nasconde sempre un’oasi di pace straordinaria, un luogo dove la mano dell’uomo non ha distrutto, ma piuttosto si prende cura di bellezze naturali dal fascino indescrivibile. Non parliamo dei parchi naturali questa volta, ma di ritagli di verde più piccoli come i giardini. Spazi verdi che sorgono in luoghi inaspettati e che regalano alla mente e all’anima una pausa da tutto ciò che è macchine-grattacieli-cemento e che, anche in questo caso, il Giappone sa regalarci con la sua solita eleganza e quel tocco spirituale unico nel suo genere.

Il viaggio che vi proponiamo oggi vi farà rilassare, che ne dite quindi di mettervi comodi, di prepararvi una deliziosa tisana e di seguirci?

Kenrokuen

giardini del Giappone

photo credits: japantravel.com

La prima delle nostre tappe è Kanazawa dove si trova il Kenrokuen che ricopre una superficie di 11,4 ettari ed è considerato uno dei giardini più belli del Sol Levante. Mantenuto rigoglioso di generazione in generazione dalla famiglia Maeda fin dal periodo feudale, in giapponese il nome Kenrokuen significa “giardino dei 6 attributi” perchè in esso sono racchiude le 6 caratteristiche del giardino perfetto: spazio, tranquillità, artificio, antichità, corsi d’acqua e panorami.

Official Web Site: pref.ishikawa.jp

Korakuen

photo credits: okayama-kanko.net

La seconda tappa ci porta a Okayama, dove il magnifico Korakuen sorge: costruito nel 1687 esclusivamente come luogo di intrattenimento per la famiglia dominante, fu aperto al pubblico nel 1884, quando divenne proprietà della prefettura di Okayama. Esso racchiude boschi, campi di té e riso, uno spettacolare stagno e tanti piccoli ruscelli.

Official Web Site: okayama-korakuen.jp

Giardini del Giappone: Kairakuen

photo credits: flickr.com

Siamo giunti al terzo tra i più bei giardini paesaggistici del Giappone, ci troviamo a Mito, la capitale della Prefettura di Ibaraki e qui Kairakuen fu da sempre luogo di accesso a tutti, non solo per il signore locale Tokugawa Nariaki che lo fece costruire nel 1841. Questo splendido spazio verde è diventato famoso grazie al Mito Ume Matsuri, il festival dei prugni in fiore, che si tiene tra febbraio e marzo: uno spettacolo dal fascino intramontabile.

Official Web Site: ibaraki-kairakuen.jp

Kokedera

giardini del Giappone

photo credits: saihoji-kokedera.com

La nostra quarta visita si terrà a Kyoto, al giardino che ospita 120 tipi di muschio diversi! E’ il Kokedera o Saihoji Temple, originariamente parte di una villa reale è divenuto un tempio quasi 1000 anni fa ed oggi è considerato un patrimonio mondiale dell'UNESCO. Visitare questo luogo offre anche un’opportunità unica, poiché prima di poter accedervi i visitatori devono partecipare al kito (canto) e al shakyo (la copia delle scritture buddiste).

Official Web Site: saihoji-kokedera.com

Giardini del Giappone: Shinjuku Gyoen

photo credits: www.japanistry.com

Per la nostra quinta tappa voliamo direttamente nella bella Tokyo dove possiamo imbatterci nello Shinjuku Gyoen National Garden, uno dei parchi nazionali più suggestivi del Paese. Costruito nel periodo Edo come residenza privata del signore feudale Kiyonari Naito è diventato luogo aperto al pubblico nel 1949. Al suo interno ci si può immergere in vari giardini, primo tra tutti il più antico quello giapponese ricco di laghi, isolette, ponti e padiglioni. Dopodiché ci si può perdere nel magnifico roseto del giardino alla francese e, non ultimo, addentrarsi nel giardino all'inglese con i suoi ampi prati verdi costeggiati da splendidi ciliegi: qui l'Hanami acquista una magia indescrivibile!

Official Web Site: env.go.jp

Giardini Est del Palazzo Imperiale

giardini del Giappone

photo credits: enjoy.vivi.city

Concludiamo il nostro percorso naturale restando a Tokyo. Oltre 210.000 metri quadrati in cui, un tempo, sorgevano le mura del Castello di Edo, residenza dello shogun Tokugawa che governò il Giappone dal il 1603 al 1867. Ai piedi della collina, esattamente dove prima si ergevano le mura difensive, si stende questo meraviglioso giardino in cui lo stagno Ninomaru ospita alcune piante acquatiche piuttosto rare ed è ricoperto di Nuphar Japonicum, ninfee gialle.

Official Web Site: https://www.kunaicho.go.jp


Giappone meta preferita per chi si vuole trasferire all'estero

Il fascino senza tempo, le opportunità che offre, la frenesia delle sue città e la grandezza delle stesse eleggono il Giappone come la destinazione preferita per tutti coloro che decidono di trasferirsi all’estero per vivere e lavorare.

Giappone meta preferita per chi si vuole trasferire all'estero

Autore: Sara

photo credits: tokeet.com

Secondo una ricerca globale, Tokyo spicca tra le 5 città al mondo scelte per intraprendere una nuova esperienza di vita. Lavorare in Giappone pare essere diventata l’aspirazione di molti, secondo una recente classifica di Remitly , società inglese che si occupa di offrire un servizio globale di trasferimento digitale di denaro per aiutare tutti gli immigrati nel mondo che fanno grandi sacrifici per vivere e lavorare in un altro paese, il numero di coloro che scelgono il Sol Levante come meta per cambiare vita è sorprendentemente elevato, persino in questo periodo di pandemia.

Giappone

photo credits: travelwithvik.com

Le ricerche online parlano chiaro: il Giappone è il secondo paese al mondo in cui tutti vogliono trasferirsi subito dopo il Canada! Per la maggior parte i dati provengono soprattutto da Paesi specifici come Stati Uniti, Australia, Thailandia, Laos, Myanmar, Indonesia, Cambogia e Filippine.
Ad aumentare il desiderio di cambiare vita guardando alla Terra dei Samurai come meta è anche l’alto grado di sicurezza, bellezza e cultura. Del resto lo abbiamo potuto constatare in questo ultimo anno: la risposta del Giappone alla pandemia, la sua rigorosa condotta nella messa in Stato di Emergenza evitando panico e disinformazione nei confronti della popolazione, non ha fatto altro che aumentare il desiderio di fare la grande mossa e “tentare la sorte” in una delle magnifiche regioni di questa immensa isola.

Giappone Giappone

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Voi cosa ne pensate? Fareste il “grande salto” ? Anche per voi il Giappone è la meta prescelta oppure ci sono altri Paesi verso i quali state puntando? Fatecelo sapere! E comunque sia, vi auguriamo di realizzare ogni vostro sogno al più presto, 頑張ってください!


Le tavolette Ema e i templi del Giappone

Continua la rubrica di Japan Italy Bridge per promuovere gli approfondimenti legati al mondo del Giappone, oggi parliamo di delle Tavolette Ema che troviamo in tutti i templi del Giappone.

Alzi la mano chi in qualche anime non ha mai visto queste curiose targhette di legno. Magari in un santuario shinto, con una miko – la sacerdotessa vestita di rosso e bianco – alle prese con le sue faccende. In ogni caso, che le abbiate già viste o meno, oggi potrete saperne di più.

Ema 絵馬 Le tavolette votive in legno giapponesi

Autore Ospite: Flavia

Traducibile come “Raffigurazione di cavallo”, le Ema sono targhette piatte concepite per trascriverci desideri e paure da rivolgere a dei/spiriti (kami) e buddha. In altre parole, rappresentano un modo tramite cui le persone possono scrivere un messaggino con destinazione mondo spirituale. Anticamente in argilla, hanno poi iniziato ad essere realizzate in legno. Una volta scritta la propria preghiera, l’Ema va appesa in uno spazio dedicato presso santuari shintoisti ma anche templi buddhisti. Si tratta infatti di una consuetudine di origine shinto estesasi poi anche ai templi. Essendo esposte tutte assieme “pubblicamente”, chiunque naturalmente può darci una sbirciatina (importante è che siano anche i kami a farlo).

È però anche possibile tenersele per sé, a mo’ di cimelio. La grande varietà di rappresentazioni, colori e stili che le caratterizza, attira da sempre la curiosità dei folkloristi. Insieme alle iscrizioni in esse riportate rappresentano un vero e proprio prisma, attraverso cui una vasta gamma di storie di vita ci viene presentata. Uno spaccato di spiritualità che può mostrarci i diversi colori della realtà giapponese.

Le Ema non sono gli unici oggetti religiosi pensati per ‘operare’ in tal senso ma sono forse quelle più diffuse, presenti appunto un po’ ovunque. Il fatto di poterle lasciare sul posto, le caratterizza rispetto ad altri oggetti religiosi quali Fuda (札) e O-Mamori (お守り). Larghe in media 15 cm e alte 9 cm, possono tuttavia presentare grandezze ma anche forme e colori molto variegati.

ema

photo credits: sharing-kyoto.com/

I temi raffigurati possono spaziare fra i seguenti:

  • il kami/buddha cui santuario o tempio sono dedicati (addirittura possono esistere tavolette raffiguranti Thomas Edison!);
  • i benefici specifici che kami (神 spiriti/divinità) e buddha hanno facoltà di donare;
  • scene su origine e storia del luogo di culto;
  • soggetti religiosi o culturali, come gli animali dello zodiaco di origine cinese (alcuni santuari sono specificamente dedicati ad un animale-segno dello zodiaco)

Tuttavia, tradizionalmente, particolare rilievo assume la raffigurazione del cavallo, come d’altronde suggerisce l’etimologia del nome stesso: e (絵) “immagine, disegno”, ma (馬) “cavallo”.

Perché il cavallo?

Risposta breve: perché nell’antichità si usava offrire un cavallo a santuari e templi per ottenere benedizioni o comunque propiziarsi la buona sorte. La figura del ‘cavallo sacro’ sopravvive ancora ai nostri giorni, tant’è che alcuni centri religiosi usano tenerne uno. E, se non in carne ed ossa, sotto forma di modello a grandezza naturale.

Questa sacralità del cavallo ha origine da un’antica credenza shinto che vedeva nel cavallo un animale caro ai kami nonché un loro messaggero (sebbene sia importante anche nel buddhismo). Da cosa nasce cosa quindi, ed ecco che l’equino diviene presto simbolo portatore di messaggi fra il mondo umano e “l’altra Sponda”. O l’Higan (彼岸) come viene chiamato anche nell’anime/manga Noragami. (Noragami è consigliatissimo se siete attratti dal genere, per così dire, ‘spirituale’. Pur attraverso l’interpretazione di fantasia dell’autore, vi dà uno spaccato religioso del Giappone, e rende molto bene il rapporto dei giapponesi con la spiritualità.)

Ad ogni modo, appurato che il nostro cavallo era considerato speciale, l’idea era di invocare una “mano dal cielo” in situazioni o eventi problematici. Ad esempio, in tempi di siccità in cui si sperava in un po’ di pioggia (cavallo nero) o, caso contrario, affinché smettesse di piovere (cavallo bianco). Tuttavia in tempi antichi solo pochi potevano permettersi di dare via facilmente un cavallo. La maggioranza delle persone cercava di tenerselo stretto, poiché animale prezioso per il proprio sostentamento. Per altro, come nota l’accademico Ian Reader, tali offerte potevano rivelarsi dispendiose anche per i templi se, a ogni preghiera di qualche ricco signore, si ritrovavano ogni volta con un cavallo, che giustamente doveva essere mantenuto, con le spese che ciò comportava.

ema

photo credits: japan-photo.de

È proprio in risposta a tali problemi contingenti che l’idea della raffigurazione del cavallo inizia a fare capolino. Anziché adoperare l’animale in carne ed ossa: perché invece non realizzare delle “e-ma” (“immagine-cavallo”)? Una soluzione conveniente, accessibile a tutti.

Le Ema fanno così la loro prima comparsa a inizio VIII secolo (periodo Nara), mentre le prime testimonianze ci giungono dalla metà del X secolo (periodo Heian). Sarebbe la raccolta di poesie e prosa cinesi Honchō Bunsui o Monzui ( 本朝文粋 ) la primissima opera a parlare delle “ema”. Cui seguiranno molte altre, una fra tutte, il Konjaku monogatari (今昔物語).

E·ma: le origini delle tavolette

Le Ema sarebbero perciò nate come sostitutivi del cavallo, nell’atto di far pervenire le proprie preghiere alle supreme entità ultraterrene. Sebbene non sia mancata qualche vocina contraria rispetto a tale linea generale. Un’altra lettura degli avvenimenti vorrebbe infatti che le targhette abbiano assunto la definizione “ema”, semplicemente, per una maggiore diffusione del disegno del cavallo rispetto ad altri temi.

Questo perché il tema del disegno cambiava a seconda della richiesta. Mettiamo che il disegno di una Ema fosse quello di un cavallo: il desiderio del richiedente poteva riguardare il benessere del proprio cavallo (pensiamo al caso dei più umili, per cui tale animale era fondamentale). Se il desiderio non riguardava un cavallo ma, ad esempio, un malanno fisico il disegno avrebbe ritratto la parte del corpo dolorante; e così via. Dunque “ema” secondo tale visione non indicherebbe che alle tavolette sia stata attribuita la stessa “agency” dell’animale. Bensì che semplicemente vi erano molte richieste riguardanti i cavalli, da cui poi sarebbe scattata un’estensione della denominazione.

Un’altra interpretazione invece sottolinea come la sacralità del cavallo non sia un’invenzione meramente shintoista e come anche nel Buddhismo l’animale abbia un suo peso. Quindi, che l’origine delle Ema sarebbe forse più da ricercarsi ripensando al ruolo del Buddhismo, cui le tradizioni popolari giapponesi attingono ampiamente. A tal proposito lo studioso Gorai Shigeru ha visto in una particolare usanza popolare, relativa alla tradizione buddhista O-Bon (お盆), una possibile origine delle Ema. Tale usanza consiste nel ricavare forme di cavallo da certi vegetali, sempre a scopo votivo, verso le anime dei morti. Gorai sembrerebbe insinuare il dubbio che l’origine di tale usanza possa essere precedente rispetto a quella attribuita alle Ema o ad altre forme simili di rappresentazione.

Entrambi tali voci dissonanti, circa le origini delle Ema, sembrano non trovare grande riscontro nell’archeologia. I ritrovamenti archeologici sembrerebbero infatti confermare tutti l’ipotesi della necessità di un mezzo alternativo al cavallo, che contemporaneamente ne facesse ‘le veci’. Un qualcosa di equivalente, che ne incarnasse lo spirito, un suo simbolo: la sua immagine.

tavolette ema

photo credits: shrine-temple-navi.jp

Ema come “oggetti viventi”

La prova di ciò giungerebbe dalla lingua stessa. Vi sono numerose antiche iscrizioni su Ema che, da un punto di vista linguistico, inequivocabilmente si riferiscono alle tavolette come se stessero parlando del cavallo stesso. Vediamone alcune.

Nel sopra citato Honchō Bunsui infatti comparirebbe un riferimento alle Ema contenente il simbolo 匹 (“hiki”, “biki” o “piki”). Riportando dal Reader, l’espressione sarebbe: “色紙絵馬三匹 ”ovvero“ 3 fogli colorati di immagini di cavallo”. Oggigiorno usato come contatore per piccoli animali, nel giapponese antico l’ideogramma 匹designava invece animali da stalla, fra cui i cavalli. L’accostamento della parola “ema” a tale particella linguistica, la cui funzione è quella di designare appunto un essere vivente, la dice lunga. Iscrizioni simili sono state rinvenute anche in due santuari a Yamagata e Saitama, risalenti a XVI e XVII secolo. In questo caso troviamo l’ideogramma 疋 invece di 匹, ma significato e lettura sono i medesimi. Riportando sempre da Reader, si tratta di: “shinme ippiki” (神馬一疋) e “ema ippiki” “ 絵馬一疋 ”. Ossia “un cavallo sacro” e “una immagine di cavallo”.

Comunque, per quanto l’ipotesi sulla possibile origine buddhista delle tavolette non fosse solida, il Buddhismo almeno a posteriori è certamente compresente, considerato il sincretismo giapponese. Tra l’altro nei templi, le Ema fungono da mezzo per trasmettere la dottrina religiosa buddhista, assumendo così un’ulteriore funzione oltre quella per cui sono nate. Parliamo di quegli insegnamenti circa l’importanza dell’altruismo o della compassione (intesa nel buddhismo come ‘empatia’) o attraverso immagini tratte dai racconti sul Buddha. Sebbene non del tutto certo, si stima che l’adozione delle tavolette da parte dei templi buddhisti sia iniziata grossomodo fra XII e XIV secolo (periodo Kamakura). Infatti molti degli Emaki – opere d’arte a rotolo – dell’epoca ritraggono le Ema o i cavalli stessi, sia nei santuari shintoisti sia nei templi buddhisti.

ema wood

photo credits: japan-photo.de

Le tavolette di legno come forma d’arte

Nel corso dei secoli i disegni delle Ema si sono fatti sempre più elaborati e variegati, dando origine a una vera forma d’arte folkloristica. In particolare le Ō-ema (大絵馬), ovvero “grandi ema”, si sono rivelate un passaggio importante nello sviluppo dell’arte giapponese. Infatti, dopo la nascita delle Ō-ema, diversi saranno i grandi artisti giapponesi che attingeranno allo stile ema.

Nate fra XIV e XVI secolo (periodo Muromachi) tali Ema erano grandi almeno un metro sia in altezza sia in larghezza. Venivano donate a templi e santuari in segno di ringraziamento – anche a posteriori, non solo al momento della richiesta – ed erano collocate in appositi spazi, le Ema-dō (絵馬堂). La più antica Ema-dō sembrerebbe essere stata patrocinata nientepopodimeno che…da Toyotomi Hideyoshi nel 1606, per il santuario Kitano di Kyōto. Sempre a Kyōto poi, anche il famoso Kiyomizu-dera (清水寺) possiede diverse Ō-ema, anticamente donate da dei mercanti come ringraziamento per il ritorno incolume delle loro navi da commercio.

Conseguenza di tale sviluppo artistico fu l’emergere di una “casta” di artisti specializzati nella pittura ema, che trovò massima fioritura nel periodo Edo o Tokugawa. Tale periodo – di espansione economica, specialmente all’inizio – portò infatti la domanda di professionisti a crescere, permettendo loro di campare anche sulla sola realizzazione delle piccole ema.

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Il linguaggio Ema: simbolismo

È proprio in questo periodo che si origina la gran parte di simboli e temi più riprodotti sulle tavolette. Ma a cosa si deve invece tutto questo bisogno di mettere su carta – anzi, su legno – pensieri e sentimenti? Tale bisogno affonda le radici nella credenza folkloristica secondo cui un desiderio ha più possibilità di manifestarsi nella realtà, se viene esternato a parole; poiché, così facendo, gli si dà forma. Dobbiamo inoltre tener presente che in tempi antichi l’alfabetizzazione era riservata a una piccola fetta della popolazione. Un linguaggio alternativo alle parole e immediatamente comprensibile a tutti, si rendeva quindi necessario: è l’incontro fra folklore e simbolismo. Il linguaggio simbolico si rivelò così la via più efficace in tal senso, attraverso la raffigurazione di problemi specifici o della “grazia” desiderata.

Le rappresentazioni potevano spaziare fra diversi ambiti: dal benessere dei bambini, alla salute, alla fertilità, addirittura a desideri circa la sfera sessuale. Se ad esempio un desiderio riguardava un parto, una Ema con la raffigurazione di un cane rappresentava la scelta più appropriata. Mentre l’immagine della volpe bianca ancora oggi indica prosperità e l’abbondanza. Per le richieste riguardanti la salute poi, si soleva anche ritrarre la parte del corpo col malanno. Per quelle invece concernenti fertilità e sessualità, beh: le raffigurazioni erano inequivocabili.

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Il tipo di rappresentazione può quindi essere prettamente simbolico, attinto dalla tradizione (vedi l’esempio del cane) oppure ritrarre direttamente l’oggetto fisico d’interesse (parti del corpo). Ad ogni modo, ricordiamoci che tale simbologia, analogica o realistica, si accompagna alla funzione taumaturgica delle diverse entità religiose venerate (spiriti/dei/Buddha). Come dicevamo all’inizio, “deità protettrici” di un particolare ambito della vita (salute, istruzione e quant’altro) sono anch’esse un soggetto iconico principe delle Ema. Quelli citati sono solo casi a titolo esemplificativo, poiché soggetti e stili possono essere tanto variegati quanto lo sono le richieste e desideri delle persone.

Il linguaggio Ema: forme e parole

Nel passaggio all’età contemporanea, i temi tradizionali rappresentati non hanno subito grosse variazioni rispetto ai tempi antichi. Naturalmente c’è stata un’aggiunta di nuovi soggetti (vedi Thomas Edison o, perché no, personaggi anime). Possiamo però osservare un aumento del ricorso al linguaggio verbale. Una ragione l’abbiamo già vista: l’alfabetizzazione. L’alfabetizzazione ha così affiancato al linguaggio simbolico quello verbale, consentendo alla gente comune di non dipendere più unicamente dal primo. Allora non è raro ormai il ricorso a giochi linguistici di omonimia e assonanza da affiancare alla simbologia delle immagini.

Tipico è il caso di quelle Gokaku-ema (互角絵馬) – tavolette pentagonali – a tema ‘educazionale’. Esse sono pensate per gli studenti, alla costante ricerca del supporto dei kami per il successo negli studi. Ecco, tali Ema devono la loro forma a una pseudo-omonimia fra l’espressione “gokaku” (互角) – pentagono – e “gōkaku” (合格) che invece indica il successo nello studio. L’argomento dell’Ema può quindi essere trasmesso anche dalla forma stessa della tavoletta! E, come vedete, talvolta può servirsi di significati verbali. Un caso di simbolismo che si serve del linguaggio verbale è invece quello di una Ema ritraente un polpo, “tako” in giapponese (蛸) usata per richiedere ausilio nell’eliminazione dei calli. Il termine “callo” si scrive con caratteri differenti (胼胝) ma si pronuncia anch’esso “tako”.

Possiamo notare quindi – per la gioia di linguisti e glottologi – come il linguaggio ema sia fatto di tutte queste dimensioni della comunicazione. Simboli, forme e parole si integrano così l’uno con l’altro, intrecciandosi, in un unico spazio. Ricordiamoci poi anche che i caratteri grafici della lingua giapponese derivano dagli antenati pittogrammi, che rappresentavano direttamente gli oggetti visivi!

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photo credits: blog.livedoor.jp

Il linguaggio verbale risulta molto d’aiuto nell’interpretazione del significato del messaggio di una tavoletta. Poiché capire il vero significato di un linguaggio simbolico, inutile dirlo, può non essere sempre possibile. Ovviamente l’ausilio di quello verbale non garantisce il 100% della comprensione, dipende da caso a caso: possono esserci iscrizioni abbastanza chiare, altre più criptiche. La studiosa Jennifer Robertson, che si è occupata delle Ema al tempo della Seconda Guerra Mondiale, ha riscontrato una particolare ambiguità nelle tavolette di quest’epoca. Motivo per cui, sottolinea la necessità di mettere sempre in conto diverse possibili interpretazioni.

Kogaeshi e Mabiki Ema, un caso particolare

Esiste però un tipo particolare di Ema, dove il messaggio non è né una preoccupazione né un bisogno per qualcosa che si desidera. Una richiesta, sì, ma diversa dalle altre: una richiesta di perdono. Parliamo di tutte quelle targhette che riguardano il caso delicato dei bambini, feti, abortiti o nati morti: i cosiddetti mizuko (水子). Gli Ema riguardanti i mizuko vengono chiamati Kogaeshi (子がえし · lett. “rimandare indietro il bambino”). Oppure anche Mabiki (間引き · chiamiamola “riduzione”) che può riferirsi all’infanticidio generale.

Nei templi buddhisti specializzati sui mizuko (cui vengono dedicati anche memoriali), i Kogaeshi Ema vengono appesi in uno spazio apposito, solo per loro, accanto alla statua del Jizō. Jizō è nel Buddhismo figura protettrice delle anime dei bambini deceduti prima dei genitori. Secondo la credenza, i loro spiriti non possono attraversare il Sanzu – fiume che separa la vita terrena dall’ “Altra Sponda” – poiché non hanno accumulato abbastanza buone azioni, a causa della morte prematura. Sarebbero perciò condannati ad ammucchiare pietre sulla riva del fiume mistico, ma Jizō li proteggerebbe dai demoni e consentirebbe loro di ascoltare i mantra.

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photo credits: hotoke-antiques.com

Si differenziano dalle normali Ema, perché le loro iscrizioni si rivolgono allo spirito del bambino, anziché a kami o buddha. Naturalmente, esprimono tutta l’angoscia, la tristezza, il rimpianto della madre o talvolta anche di entrambi i genitori. L’iscrizione più ricorrente, stando a Reader, sarebbe un semplice “Gomen ne” (ごめんね) ovvero “Mi dispiace” [“Perdonami”] unitamente alla motivazione del gesto. Tale fenomeno ha colpito particolarmente a cavallo fra tardo periodo Edo e inizio periodo Meiji, quando povertà estrema e carestia colpirono duramente la popolazione giapponese. Il ricorso ai Mabiki Ema però è continuato sino ai tempi contemporanei.

Mukasari Ema, altro caso particolare

Altro caso di targhetta legata alla morte, è quello delle Mukasari-ema (ムカサリ絵馬). Queste tavolette infatti nascono per uno scopo singolare: portare a termine i cd. Shirei Kekkon (死霊結婚), i matrimoni fra anime morte. Esse appartengono alla categoria delle grandi ema e, stando alla Robertson, la loro diffusione parrebbe essere circoscritta alla sola Okinawa e al nord-est del Giappone, nella Prefettura di Yamagata. “Mukasari” significherebbe infatti “matrimonio” nel dialetto di Yamagata (non a caso scritto con l’alfabeto katakana). In sostanza tali Mukasari-ema consentono di “simulare” nella rappresentazione della targhetta, il matrimonio di una persona morta da celibe o nubile. È un modo per consentire all’anima di trovare la pace, impedendo che possa divenire uno spirito tormentato.

Se accadesse infatti, lo spirito potrebbe restare ancorato al mondo terreno, attraverso il dolore, per non aver potuto sperimentare la gioia di farsi una famiglia. Quindi, infestare il mondo dei vivi. È così un modo anche per la famiglia della persona deceduta, per quanto fittizio, di realizzare tale sogno. Nei tempi moderni, si può anche ricorrere alle fotografie, se ce ne sono, della persona in abiti nuziali quando ancora in vita. Tali Mukasari-ema sono state particolarmente adoperate ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, per il motivo facilmente immaginabile.

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photo credits: journals.openedition.org

Si tratta di due casi limite, l’eccezione alla regola. Poiché come ormai è chiaro, le Ema sono fatte con un occhio al benessere umano, del qui e ora, sia esso individuale o esteso all’umanità intera. Ma sono pur sempre parte del mondo Ema e, se c’è qualcosa che comunque le accomuna alle altre, è una funzione non da poco: quella psicologica, di liberazione da un peso interiore. L’atto stesso di “scaricare” sulle tavolette ciò che si ha dentro – pensieri, desideri, bisogni nonché preoccupazioni – è un atto profondamente catartico. Soprattutto se tali desideri e bisogni vanno in contrasto con le norme imposte dalla società. Come nota Reader, un modo per gli individui di sopravvivere in situazioni che sfuggono al loro normale controllo e unica via di sopravvivenza, dal controllo sociale.

I desideri della gente

Ma in genere cosa desidera nello specifico chi fa ricorso alle Ema? Potremmo individuare due macro-aree: protezione e successo.

Della prima fa certamente parte la salute, tema principe di ogni tempo. Come accennato nell’introduzione, kami e buddha sono associati a poteri curativi, attribuiti per estensione anche a santuari e templi loro dedicati. Le richieste di ‘grazia’ da malanni e malattie – o di protezione preventiva da qualsivoglia pericolo – possono riguardare il richiedente stesso, i suoi familiari, oppure altre persone. Le richieste riguardanti il successo, ambito molto sentito, possono anch’esse riguardare il richiedente o terzi oppure un ‘io collettivo’ di cui il richiedente fa parte. È il caso di tutte quelle richieste fatte per propiziare il successo della propria azienda o istituzione di qualsiasi altra natura. Vi sono Ema ad esempio dove il richiedente si preoccupa del successo della propria squadra del cuore (in Giappone molto popolare è il baseball).

Ma c’è un reame che emerge in modo particolare su tutti quanti: l’istruzione. Il sistema educativo giapponese contemporaneo è molto rigido e competitivo, e la pressione dell’insuccesso sui ragazzi può essere particolarmente gravosa, dal punto di vista psicologico. Allora, vuoi già solo per questo motivo. Vuoi anche per ispirazione – nel vedere amici o gruppo di coetanei recarsi nei centri religiosi a scrivere le loro targhette – fatto sta, che gli studenti rappresentano una bella fetta di “clientela” per le Ema. Oltre a richiedere il favore “dei cieli” nella buona riuscita di test ed esami, l’iscrizione delle Ema può rappresentare per i giovanissimi un momento di leggerezza, di spensieratezza.

Come non menzionare a questo punto il kami shinto Tenjin (天神), patrono della cultura e dell’istruzione, certamente popolare fra gli studenti giapponesi. (Per altro, Tenjin è la deificazione di una persona realmente esistita fra IX e X secolo d. C.! Letterato e politico di corte Heian, in vita il suo vero nome fu in realtà Sugawara no Michizane.) I suoi santuari sono i più frequentati nei mesi freddi, soprattutto gennaio e inizi febbraio, quando ha luogo il famigerato “inferno degli esami di ammissione”.

Non mancano poi certamente richieste riguardanti benessere materiale così come quelli riguardanti gli affari di cuore. Addirittura quelle per “recidere i legami” con l’ausilio delle apposite Enkiri-ema (縁切り) per esprimere il desiderio di spezzare il cordone che lega a persone, cose (vizi, dipendenze) o situazioni (malattie).

L’incinerazione delle tavolette

Eh sì, questa è una tappa importante della vita delle tavolette: quella finale. Sia i santuari shinto sia i templi buddhisti periodicamente provvedono a bruciare le tavolette offerte, a duplice scopo: rituale ma anche pratico. (Nella religiosità giapponese dimensione pratica e dimensione spirituale riescono a sposarsi serenamente). La motivazione pragmatica è dovuta semplicemente…alla necessità di fare spazio! Dopotutto, centinaia e centinaia di tavolette nel tempo si accumulano.

La motivazione spirituale invece vuole che, attraverso il rito del falò, desideri e richieste delle persone possano giungere al regno dei kami e dei buddha. Kami e Buddha che, vi ricordo, dovrebbero comunque aver già letto le Ema, sempre a disposizione in templi/santuari, prima dei rituali del fuoco. Ancora una volta Noragami ci viene in aiuto, con la sua storia così esemplificativa. Non è raro infatti vedere proprio il Tenjin aggirarsi nei santuari lui dedicati, di fianco le tavolette Ema. In Noragami, per altro, si tocca anche il tema del recidere i legami, di cui abbiamo parlato poc’anzi (insomma, avete capito l’antifona: guardatelo/leggetelo).

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photo credits: https://youtu.be/Vn6AoThrXyc

Quando si svolge tale rituale?

Il passaggio al nuovo anno è il momento che mette tutti d’accordo. Tuttavia può avvenire anche in altri periodi, diversi a seconda di ogni centro religioso. I santuari di Tenjin ad esempio sono soliti farlo a fine ottobre, appena dopo i festival a lui dedicati.
Il periodo attorno al Capodanno, l’O-Shogatsu (お正月), è tuttavia l’ideale per tutti, essendo un momento di transizione. Quale momento migliore per rilasciare simbolicamente ciò che ormai ha fatto il suo tempo, liberando desideri e richieste del vecchio anno? E allo stesso tempo, quale momento più propizio per inaugurare l’anno nascente, magari scrivendone di nuovi? Ammazza, quante commissioni per questi kami e buddha già dai primi sospiri del nuovo anno! La frase “Liberarsi del vecchio per far spazio al nuovo”, in questo contesto, non può che calarsi bene, prestandosi più che perfettamente a tale interpretazione duale.

Nulla piove dal cielo!

Attenzione però, a non fraintendere. Non pensiate che si tratti di un mero atto di superstizione: niente di più lontano dalla realtà! Ricorrere alle Ema non equivale a pensare di mettersi a braccia conserte, aspettando una grazia ultraterrena. Chi ricorre alle Ema, generalmente sa bene, anche con un ipotetico “favore dei cieli”, che il 95% delle probabilità di successo sono date dal proprio impegno. E dal proprio atteggiamento mentale. Mi riferisco naturalmente a tutte quelle situazioni dove uno ha potere d’azione. Nei casi in cui ciò non sia possibile, l’unica cosa da fare è cercare di agire, il più che si riesce, sul proprio atteggiamento mentale.

Le tavolette Ema testimoniano la ricerca di un cambiamento o di sicurezza da qualche rischio o pericolo. Hanno la facoltà di avvicinare anche i più “laici”, coloro che magari non fanno una grande vita spirituale. Come può essere il caso di diversi giovani, o dei bimbi, che possono cogliere nelle tavolette anche un lato giocoso, oltre che di supporto per gli studi. Il senso dell’offrire una tavoletta Ema è sostanzialmente quello di far fronte a una crisi, di qualsiasi natura, ricorrendo alla dimensione soprannaturale, da sempre fonte di supporto. In altre parole, le Ema svolgono una funzione di conforto e di sostegno. E, di riflesso, un’importante funzione terapeutica.


Artisti giapponesi contemporanei all'estero

Il Giappone come l’Italia è un paese molto legato all’arte e tanti artisti contemporanei giapponesi hanno esportato i loro lavori all’estero.

Gli artisti contemporanei giapponesi all’estero

Autore: Sara

Biennali, fiere dell'arte ed expo hanno permesso al mondo dell'arte contemporanea giapponese di volgere uno sguardo verso l'esterno. Finalmente, anche i grandi artisti escono al di fuori dei confini del Sol Levante. Noi di Japan Italy Bridge abbiamo deciso di presentarvi alcuni tra i più importanti artisti contemporanei che hanno ricevuto consensi in tutto il mondo. Parliamo di creativi come Yayoi Kusama, Tatsuo Miyajima, Takashi Murakami, Yoshitomo Nara e Hiroshi Sugimoto. Siete pronti per questo viaggio?

Yayoi Kusama

photo credits: wsj.com

Nata a Nagano nel 1929, Yayoi Kusama è forse la più conosciuta fra gli artisti contemporanei giapponesi. Cominciò a dare prova delle sue immense doti artistiche a 10 anni. Il difficile rapporto con la madre ed un trauma che la segnò profondamente condussero Kusama a dipingere sulle tele le sue esperienze. L'ambiente fisico e la sua personalità svanivano inghiotte dallo spazio che si muoveva ad una incredibile velocità. Iniziò ad ispirarsi anche a Georgia O'Keeffe e le scrisse una lettera. L'artista rispose e Kusama si trasferì a New York dove iniziò a realizzare dipinti monocromatici che attirarono immediatamente l'attenzione.

I primi anni '60 non erano di certo facili per una donna, soprattutto giapponese e riuscire ad esporre nelle gallerie era un'impresa difficile. Tuttavia, ci riuscì diventando via via sempre più conosciuta nel campo dell'arte concettuale. Le sue opere includono attributi di femminismo, minimalismo, surrealismo, art brut, pop art ed espressionismo astratto accomunati tutti dalla tecnica dei pois.

Tornata in Giappone, l'artista potè godere del successo meritato. Le sue opere furono esposte al Museum of Modern Art di New York, al Tate Modern a Londra e al National Museum of Modern Art di Tokyo. Tra il 1994 e il 2012, Kusama collaborò con il musicista Peter Gabriel e soprattutto con Marc Jacobs, direttore artistico di Louis Vuitton. Kusama oggi vive nell'ospedale psichiatrico Seiwa, in Giappone, per scelta personale e continua a dipingere quotidianamente nel suo studio a Shinjuku.

Tatsuo Miyajima

artisti contemporanei giapponesi

photo credits: smh.com.au

Nato a Tokyo nel 1957, Tatsuo Miyajima si è laureato al corso di pittura a olio presso il dipartimento di Belle Arti della Tokyo National University of Fine Arts and Music. Iniziò a sperimentare con la performance art prima di passare alle installazioni basate sulla luce.

Miyajima affermò che il desiderio di creare un lavoro più duraturo, in contrasto con la natura necessariamente effimera della sua performance e delle sue azioni, lo ha motivato a iniziare a lavorare su sculture e installazioni. Impiegando materiali contemporanei come circuiti elettrici, video e computer, i lavori estremamente tecnologici di Miyajima si sono incentrati sull’utilizzo di contatori a diodi digitali ad emissione di luce (LED). Questi numeri, lampeggianti in cicli continui e ripetitivi da 1 a 9, rappresentano il viaggio dalla vita alla morte, la cui finalità è simbolizzata dallo "0", numero che non compare mai nella sua opera.

Miyajima ha tenuto mostre personali presso l'Ullens Center for Contemporary Art di Pechino, al Miyanomori Art Museum di Hokkaido, al San Francisco Museum of Modern Art. Inoltre, ha partecipato alla Biennale di Venezia e a numerose mostre collettive, dal Museum of Contemporary Art di Sydney, all'Hiroshima City Museum of Contemporary Art. Dal 2006 Miyajima ricopre il ruolo di vicepresidente della Tohoku University of Art and Design.

Takashi Murakami

artisti contemporanei giapponesi

photo credits: crfashionbook.com

Nato a Tokyo nel 1962, Takashi Murakami ha intrapreso gli studi di pittura giapponese tradizionale presso il Tokyo Geijutsu Daigaku. Tuttavia, la sua aspirazione era quella di diventare un grande mangaka. Dopo aver conseguito la laurea in pittura tradizionale Nihon-ga, vinse una borsa di studio del MoMA PS1. Si trasferì a New York arricchendo le sue influenze con le opere di Andy Warhol e ispirandosi alle filosofie produttive di aziende cinematografiche come Disney, LucasFilm e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki.

Tra le svariate mostre personali, ce n’è una che segnerà la nascita di un nuovo movimento artistico giapponese: “Superflat”. Questo era il titolo della mostra al MOCA di Los Angeles che diventò il manifesto programmatico ed estetico dell'artista promuovendo sistematicamente il valore di un'arte giapponese autonoma dalle influenze occidentali. Un’arte appunto capace di esprimere la realtà culturale del nuovo Giappone. Superflat infatti mescola elementi otaku ad elementi Kabuki e jōruri, fusi e appiattiti in immagini dalle superfici levigate e dai colori brillanti in cui i temi estetici sono amplificati ed esaltati.

Murakami ha collaborato con Marc Jacobs e ha realizzato per Louis Vuitton la borsa in edizione limitata Cherry Blossom, disegnando per l'occasione un pattern kawaii con il monogramma dell'azienda di moda.

Grazie al suo approccio estetico e imprenditoriale all’arte, Murakami è entrato a pieno titolo nello scenario artistico elitario internazionale, vendendo attraverso aziende terze, oggetti destinati al mercato di massa, inventando e promuovendo i brand Kaikai Kiki e GEISAI.

Yoshitomo Nara

artisti contemporanei giapponesi

photo credits: scmp.com

Nato a Hirosaki nel 1959, Yoshitomo Nara ha studiato presso l'Università Prefetturale di Belle Arti e Musica di Aichi e alla Kunstakademie di Düsseldorf.

Nara è conosciuto per i suoi dipinti i cui soggetti sono ingannevolmente semplici. Troviamo infatti bambini e animali a colori pastello con tratti fumettistici con poco o nessun sfondo che appaiono contemporaneamente dolci e sinistri. Inoltre a volte brandiscono armi come coltelli e seghe ed i loro sguardi sono accusatori. La sua arte è una metafora che accusa le persone di attaccare l'innocenza dell'infanzia.

Le perversioni oggettistiche di Nara affondano le radici nella cultura popolare giapponese, influenze che però si mescolano a quelle provenienti dalla società orientale ed occidentale. La sua arte pittorica, scultorea, delle installazioni e delle incisioni esplora i temi dell'isolamento, della ribellione, della spiritualità e della religione.

Hiroshi Sugimoto

artisti contemporanei giapponesi

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Nato nel 1948 a Tokyo, Hiroshi Sugimoto dopo aver conseguito il Bachelor of Arts, si trasferisce a Los Angeles per studiare fotografia. Questi studi lo porteranno, negli anni 70 ad affermarsi come uno dei più famosi fotografi contemporanei.

I suoi lavori trattano della storia e dell’esistenza temporale, investigando su temi quali il tempo, l’empirismo e la metafisica. Sugimoto ha ricevuto numerosi grant e le sue opere sono esposte nelle collezioni della Tate Gallery, del Museum of Contemporary Art, Chicago, del Metropolitan Museum di New York e del Guggenheim di New York.
Come molti degli artisti contemporanei, anche Sugimoto ha collaborato con la moda, questa volta con la casa francese Hermès. Le foto a colori di Sugimoto per i foulards di Hermes sono state esposte nel giugno 2012 al Museo delle culture di Basilea. Durante la Biennale di Venezia del 2014, Sugimoto ha svelato la sua “Glass Tea House Mondiran” presso Le Stanze del Vetro sull’isola di San Giorgio Maggiore.

Il mondo dell’arte è ricco di sfaccettature date da ispirazioni continue, dalla ricerca dell’io, dalla necessità di esprimere concetti profondi senza l’utilizzo di parole. Quali tra gli artisti contemporanei giapponesi vi hanno più colpito? Fatecelo sapere nei commenti!


Special Focus: Hiroshima, una prefettura tutta da scoprire

Japan Italy Bridge promuove il Giappone e crea un vero e proprio ponte tra Giappone ed Italia ed oggi si focalizza su Hiroshima. L’Ente Nazionale Turismo Giappone promuove il turismo e questo mese si concentra appunto su questa magnifica prefettura. Ma andiamo a vedere più nello specifico.

Hiroshima

Hiroshima, una prefettura tutta da scoprire

Autore: SaiKaiAngel

La Storia

Hiroshima

photo credits: un.org

La città di Hiroshima fu fondata nel 1589, durante il periodo feudale Sengoku per opera del daimyō giapponese Mōri Terumoto che la rese capitale del suo feudo. Dopo la battaglia di Sekigahara per i possedimenti territoriali, Terumoto dovette cedere Hiroshima al vincitore Tokugawa Ieyasu, che decise di farla amministrare dal daimyō Fukushima Masanori.

Nel 1871 la città divenne capitale dell'omonima prefettura e un importante polo commerciale e navale giapponese. Sul finire del XIX secolo Hiroshima assistette a un'ulteriore industrializzazione, che culminò con gli stabilimenti bellici eretti in occasione della guerra russo-giapponese del 1904, poi sede principale della Mazda nel 1920. Nel 1938 entrò a far parte del più ampio scenario bellico della seconda guerra mondiale. Purtroppo, il 6 agosto 1945, alle 8:16 e 8 secondi la bomba chiamata Little Boy esplose a 576 metri, con una potenza pari a 12.500 tonnellate di tritolo. L'esplosione nucleare uccise circa 260.000 persone e ne ferì più di 160.000 nei mesi immediatamente successivi a causa delle radiazioni.

Il Territorio

Hiroshima

photo credits: locationscout.net

Il centro è steso sulla baia portuale verso il mare di Aki-nada e il territorio è collinare. Hiroshima ha tante isole come Etajima-Nomi e Itsukushima e, nell’entroterra, il territorio diventa più roccioso con i monti Gosasou e Shiraki che fanno da strada al fiume Ota.

Come anche JNTO spiega e assicura, potete esplorare il Giappone in assoluta sicurezza! Visitate Hiroshima senza paura e in completa tranquillità, sarà sempre garantito il giusto distanziamento, il rilevamento della temperatura nei negozi e nei luoghi di interesse, protezioni come ad esempio la mascherina. Non rischiate nulla, come primo interesse della persona e del turista c’è sempre la sicurezza in ogni luogo.

Approfittate per visitare questa splendida prefettura che ci regala non solo grandissime emozioni, ma anche luoghi incantevoli che ricorderete per sempre. Nonostante la tragedia provocata dall’esplosione della bomba atomica, Hiroshima nel 1974 aveva raddoppiato la popolazione prebellica e venne considerata la "capitale della pace" del mondo. Hiroshima ospita importanti attrazioni da visitare assolutamente, andiamo a vederle nel particolare.

Hiroshima Peace Memorial Park

Hiroshima

photo credits: theplanetsworld.com

Simbolo del bisogno di pace eterna, commemora le numerose vittime del primo attacco nucleare ed è situato proprio nell'epicentro dell'esplosione. Hiroshima Peace Memorial Park vanta molti e importanti monumenti, musei relativi agli eventi di quel giorno e alle sue conseguenze. Oltre ai meravigliosi giardini con i loro fiori di ciliegio, troviamo il Museo della Memoria della Pace, il Cenotafio commemorativo, la Fiamma della Pace, e l’Atom Bomb Dome con le rovine della vecchia Camera dell'Industria e del Commercio. Un luogo davvero molto interessante è il Monumento per la pace dei bambini e il Monumento alle vittime della bomba atomica.

Shukkei-en Garden

Hiroshima

photo credits: theplanetsworld.com

Lo Shukkei-en Garden è un meraviglioso giardino sulle rive del fiume Ōta. Uno spazio di pace e tranquillità voluto da Asano Nagaakira nel 1620. Questo giardino un tempo fu la casa dell’imperatore Meiji. Dopo i danni provocati dall’esplosione nel 1945, questi giardini sono letteralmente rifioriti nel 1951 in tutta la loro bellezza. Ponti, sentieri, un vero e proprio paesaggio di calma e relax coccolati dal rumore dei torrenti che attingono dal fiume Ōta.

Hiroshima Peace Memorial Museum

Hiroshima

photo credits: theplanetsworld.com

Le mostre incentrate sull’esplosione della bomba atomica del Peace Memorial Museum sono molto dure, molto dolorose e sono esposte insieme a mostre che inneggiano alla pace nel mondo. Questo museo è uno dei siti che non può mancare nel vostro viaggio in Giappone, sia per vivere la rinascita di una prefettura sia per omaggiare chi ha perso la vita durante il terribile bombardamento.

Castello di Hiroshima

photo credits: theplanetsworld.com

Il Castello di Hiroshima (Rijō), conosciuto anche come Castello delle Carpe, fu residenza di Fukushima Masanori per poi passare in possesso del famoso Asano Nagaakira nel 1619. Nel castello e in particolare nella torre, c’è un museo sulla sua storia con immagini di Hiroshima. Qui possiamo anche trovare tre alberi sopravvissuti alla bomba atomica e un bunker utilizzato per le trasmissioni radio dopo l’esplosione.

Il santuario dell'isola di Itsukushima

Hiroshima

photo credits: theplanetsworld.com

Miyajima è famosa per il santuario di Itsukushima, dedicato alle principesse Ichikishimahime, Tagorihime e Tagitsu-hime, figlie del dio del vento Susanoo. Detta anche l'Isola del Santuario, qui gli edifici con l’alta marea, sembrano galleggiare magicamente sull'acqua, perchè si trovano su una baia sostenuta da palafitte. Lo spettacolo è da non perdere, una festa di colori, di strutture in legno rosso e pareti bianche. Honden (Main Hall), Heiden (la sala delle offerte), Haiden (la sala delle preghiere), Senjokaku (la Sala dei mille tappet) e Takabutai usato per le danze Bugaku e Kagura sono i posti che non possono mancare nella vostra visita a Hiroshima.

Memorial Cathedral per la pace mondiale

Hiroshima

photo credits: theplanetsworld.com

La Memorial Cathedral e una delle chiese più grandi delll’Asia, costruita nel 1954 dal prete gesuita tedesco Hugo Lassalle da un progetto dell’architetto giapponese Murano Tohgo. La Memorial Cathedral ha quattro campane nella torre di 46 metri, un organo fornito dalla città di Colonia e le porte di bronzo di Düsseldorf.

Il tempio Mitaki-dera

photo credits: theplanetsworld.com

Uno dei templi più belli di Hiroshima è Mitaki-dera. Eretto nell’809 e ricostruito dopo la guerra, è famoso anche per i suoi splendidi giardini che in autunno regalano uno spettacolo rosso fuoco ai visitatori. Conosciuto anche come il Tempio delle Tre Cascate per la sua posizione ai piedi del Monte Mitaki, qui risplende la sua pagoda con lacca rossa, il Tahoto e le cascate.

Il tempio Fudoin

photo credits: japanvisitor.com

Un altro bellissimo posto da visitare è il Tempio di Fudoin, con architettura del periodo Muromachi tra il XIV e il XVI secolo e una grande sala principale che contiene una statua scolpita designata come tesoro nazionale.

I musei di Hiroshima

La città di Hiroshima e tutta la prefettura sono famose anche per i tanti musei presenti sul territorio. Qui di seguito quelli che riteniamo siano immancabili nel vostro viaggio a Hiroshima.

Hiroshima Prefectural Art Museum (Hiroshima Kenritsu Bijutsukan)

Hiroshima

photo credits: theplanetsworld.com

Questo Museo, aperto nel 1968, si focalizza sugli artisti locali con collezioni riferite al bombardamento atomico e una galleria per bambini.

Hiroshima Museum of Art

Il Hiroshima Museum of Art è composto da otto gallerie d'arte di livello mondiale. Possiamo trovare la collezione di dipinti di maestri europei come Monet, Renoir, Degas, Maillol e Picasso insieme ai principali artisti giapponesi come Ryohei Koiso e Yuzo Saeki.

Parco zoologico di Hiroshima City Asa

Hiroshima

photo credits: japantravel.com

Aperto nel 1971, l'Asa Zoological Park è grande circa 124 ettari ed ospita 170 specie di animali, come panda minori, salamandre giganti giapponesi, leoni, giraffe e rinoceronti. Un luogo per distrarsi dagli altri importanti posti di Hiroshima e per svagare la mente, non solo per i bambini ma anche per gli adulti!

Cibo e bevande

Ovviamente, con un viaggio così interessante, non possiamo dimenticarci di mangiare e bere e per questo Hiroshima ci regala esperienze uniche anche in questo caso! Non sono da dimenticare cinque famosissime Sakagura di Hiroshima grazie a cui possiamo gustare dei sake eccezionali. Leggete attentamente qui per avere un’esperienza unica nella tradizione giapponese.

Hiroshima

Honshu ichi - Brasserie UmedaCo., Ltd.

【Categoria】Junmai Ginjo
【Ingredienti】Riso, riso Koji (Senbon Nishiki /prodotto di Hiroshima)
【Polishing ratio】60%
【Gradazione d'alcool】 16,8 °
【Densità di glucosio】 1,8
【Acidità】1,7
【Gradazione di saké】 +5
【Aroma】Aroma fruttato dolce
【Pairing】Pesce in generale, pollo, dolci con sapore forte come ad esempio le cheese cake
【Caratteristiche】
Un Junmai Ginjo Sake prodotto dalla Prefettura di Hiroshima, preparando il riso "Senbon Nishiki" con lievito Hiroshima Ginjo. È caratterizzato dall'aroma fruttato del sake Ginjo, gusto leggermente dolce.. Si può gustare con piatti a base di pesce e di formaggio.

‘Zoka’ - Kamoizumi Shuzo Co., Ltd. 創業 1912年 Fondazione 1912
【Categoria】Junmai
【Ingredienti】Riso, Koji, Acqua (Riso : Yamadanishiki/100% Higashihiroshima)
【Polishing ratio】65%
【Gradazione d’alcool】16°
【Densità di glucosio】2,0%
【Acidità】1,8
【Gradazione di saké】±0
【Aroma】Dolce di castagne, con un profumo forte di riso e di grano.
【Pairing】Tofu bollito, dolce con agrumi, cibo marinato.
【Caratteristica】
Il Junmai Daiginjo è ottenuto dal riso per sake "Yamada Nishiki" coltivato in un campo situato a circa 6 km a nord del birrificio, utilizzando l'acqua del sottosuolo di Saijo e la tecnica di Hiroshima Mori. L'aroma delicato e la dolcezza del riso trasparente e gentile armonizzano perfettamente con la fresca acidità. Si può godere godere raffreddato con una tazza sottile o un bicchiere di vino. Sake certificato con marchio Saijo GIAPPONE)

Itteki Nyukon - KamotsuruCo., Ltd.

【Categoria】Junmai Ginjoshu
【Ingredienti】Riso, Riso Koji(100 % riso di Hiroshima)
【Polishing ratio】60%
【Gradazione d'alcool】15 - 16 °
【Densità di glucosio】1,0
【Acidità】1,6
【Gradazione di saké】+3
【Aroma】Morbido
【Pairing】Sauté di pollo, Gelée di pesche bianche
【Caratteristiche】
Questo sake ha come materia prima il riso adatto per la sua preparazione. Un sake Junmai Ginjo leggermente secco che si abbina bene a cibi con l’acidità al punto giusto, buono sia freddo che caldo.

Sempuku Shinriki 【Soprannome】Un pieno di felicità - Brasserie MiyakeCo., Ltd. Sempuku Shinriki

【Categoria】Saké Daiginjo
【Ingredienti】Riso, riso Koji (Shinriki)
【Polishing ratio】 85%
【Gradazione d'alcool】 19,0 °
【Densità di glucosio】 1,2
【Acidità】2,3
【Gradazione di saké】 +5
【Aroma】Aroma maturo, mandorla
【Pairing】Sukiyaki, Bistecca, Formaggio, Cioccolato
【Caratteristica】
Il riso "Kamiriki rice", che è l'origine del Chifuku, è lavorato all'85% ed è vicino alla velocità di lavorazione del riso delle epoche Meiji e Taisho. Una bottiglia piena di sentimenti per la preparazione del sake, adatto soprattutto alle persone particolarmente attente ai sake giapponese.

Night Emperor - Fuji Shuzo

【Categoria】Junmai
【Ingredienti】Riso, Hattan Nishiki Koji, Acqua
【Polishing ratio】65%
【Gradazione d'alcool】 15 °
【Densità di glucosio】N/A
【Acidità】1,6
【Aroma】Moscato, noci
【Gradazione di saké】 +9
【Pairing】Tartare, Pollo grigliato al limone
【Caratteristica】
Il Night Emperor è un liquore miscelato a base di Hachitan Nishiki prodotto nella prefettura di Hiroshima. Liquore versatile facile da abbinare a qualsiasi piatto. Sapore morbido che sfrutta le caratteristiche della preparazione dell'acqua dolce e mantiene bassa la gradazione alcolica pur mantenendo il gusto del koji e del riso. Buono gustato sia freddo che caldo

Vi abbiamo dato un po’ di esempi e informazioni che vi spingeranno sicuramente a vivere l’esperienza di Hiroshima, ma c’è ancora di più! La prefettura di Hiroshima è uno scrigno pieno di tesori che aspettano solamente di essere esplorati da voi. Cosa aspettate? Noi di Japan Italy Bridge non ce lo facciamo ripetere due volte, sarà una gioia sia per gli occhi, sia per per il palato che per il cuore e l’anima. Ne usciremo tutti arricchiti!


Okinawa e Il caso degli ultracentenari

Continua la rubrica di Japan Italy Bridge per promuovere gli approfondimenti legati al mondo del Giappone, oggi parliamo di Okinawa e il caso della popolazione ultra centenaria.

“A 70 anni non sei che un bambino. A 80 anni sei un giovane. A 90, se gli avi ti chiamano in paradiso, chiedi loro di aspettare fino a 100 anni. E allora ci potrai pensare”. Così recita un antico detto ad Okinawa, immancabilmente citato ogniqualvolta ci si accinga a parlare dei suoi mitici abitanti. Parole che sembrano trovare conferma, anche in antiche leggende che parlerebbero di questo posto come di una “Terra degli immortali”.

Okinawa 沖縄 Il caso degli ultracentenari

Autore Ospite: Flavia

Pochi anni fa persino la trasmissione de “Le Iene” ha portato il caso di Okinawa in prima serata, dedicandoci un servizio molto carino. La longevità dei suoi abitanti e ancor più l’incredibile qualità del loro invecchiamento è subito testimoniata dalle prime due signore che appaiono nel servizio. Penso che chiunque le abbia viste sia rimasto a bocca aperta: non mento, se dico che dimostrano qualcosa come 15 anni in meno! Incredibile. Come nota la scomparsa giornalista Nadia Toffa, inviata nel servizio in questione, centenari e ultracentenari li abbiamo anche qui in Italia. Il punto quindi è, come, ci si arriva a quelle età. Cioè: con che qualità della vita? Solitamente gli acciacchi dei nostri anziani, lo sappiamo, sono tali da inficiare la qualità del loro ultimo tragitto di vita. Come società ormai diamo per assodato che malanni e perdita d’autonomia sia ciò che irrimediabilmente ci aspetta varcate quelle soglie d’età. Ebbene, il caso dei (super-) nonni di Okinawa ci dimostra che le cose non devono essere per forza così! E che è nel potere di ognuno, fare in modo di assicurarsi un benessere psico-fisico vita natural durante, a partire da...il prima possibile! Quanto prima ci si inizi a curare, meglio si può predisporre la propria vecchiaia.

Okinawa

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I malanni tipici delle nostre società occidentali - che spesso e volentieri manifestano perfino i giovani(!) - gli anziani di Okinawa quasi non sanno cosa siano. L’incidenza di malattie legate alla senilità o malattie degenerative quali osteoporosi, Alzheimer, sclerosi, cancro...è bassissima.

Okinawa: zona blu, paradiso di longevità

Queste persone presentano una straordinaria qualità della vita proprio su quest'isola. Parliamo di gente che non è mai stata all’ospedale, che mai ha preso farmaci… che addirittura è in grado di continuare a lavorare o guidare la macchina anche oltre i 90/95 anni. Che comunque dispone di un margine di autonomia impensabile per un anziano nostrano, salvo casi sporadici. Tra tutti, il piccolo villaggio di Ōgimi spicca per l’alta concentrazione di centenari rispetto al totale degli abitanti. In realtà un caso di longevità analogo è presente, lo saprete, anche in casa nostra: nella vicina Sardegna. Non a caso: Okinawa, Sardegna, l’isola greca Ikaria, la costaricana Nicoya e una piccola comunità presso Loma Linda in California, tutte, rientrano sotto la denominazione di “zona blu”.

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È detta “Zona blu” ogni area del mondo dove la speranza di vita sia più alta rispetto alla media generale. Veri e propri “paradisi di longevità” che attirano ricercatori da tutto il mondo per cercare di carpire il “segreto” delle loro popolazioni. Okinawa e i suoi abitanti in questo senso, superano perfino il Giappone continentale che pure non resta indietro in fatto di qualità della vita, ma presenta ad esempio una maggiore incidenza di malattie.

Okinawa

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Ma chi sono gli okinawani? Andiamo prima di tutto a scoprire con chi abbiamo a che fare.

Identikit dei “tropici” giapponesi

Okinawa è il principale complesso ( 沖縄諸島 Okinawa·Shotō ) dell’arcipelago delle Ryūkyū e si colloca fra Giappone “continentale” e Taiwan. È composto da un’omonima isola principale più altre isole minori. Naha ( 那覇 ), ne è capoluogo. Viene nominata prefettura del Giappone nel 1879 sebbene il complesso delle Ryūkyū ( 琉球諸島 Ryūkyū ·Shotō ), che appunto la ingloba, fosse formalmente annesso già nel 1874. Il Giappone era allora in fase di modernizzazione e a questo corrispose un processo di unificazione di tutti i territori dell’arcipelago sotto un’unica bandiera.

Okinawa

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Prima del 1874 il Ryūkyū costituiva un Regno autonomo, la cui fondazione nel XV secolo aveva portato alla conseguente unificazione delle isole di Okinawa. Formalmente era riconosciuto dai Tokugawa - signori del Giappone fino al 1868 - sotto la giurisdizione del feudo di Satsuma (odierna Prefettura di Kagoshima). Di fatto però era indipendente, tant’è che è stato regno tributario sia del Giappone Tokugawa sia, ancor prima, della Cina.
Okinawa è una regione un po’ particolare, più a sé stante rispetto al resto del Giappone. Risente di un’influenza da parte di Cina e Sud-Est Asiatico, per via dei frequenti scambi commerciali e culturali mantenuti dal Regno ryūkyano nel corso dei secoli. La stessa cucina di Okinawa e il Karate, l’arte marziale made-in-Okinawa per eccellenza, sono il risultato di tali interazioni.
La natura rigogliosa di queste isole, fatta di numerose barriere coralline ed estese foreste pluviali, unitamente a un clima sub-tropicale, rende Okinawa un autentico paradiso. Non è raro trovarla indicata sotto espressioni come “angolo tropicale” o “caraibi” del Giappone. Un clima che un po’ richiama quello delle zone blu “colleghe” Sardegna e Ikaria, guarda caso anch’esse isole. Non mi stupisce che paradisi come questi possano ospitare “elisir” di lunga vita.
Ma vediamo cosa ci dicono dell’elisir di Okinawa le scoperte dei ricercatori.

Gli studi dei ricercatori ORCLS

L’Okinawa Centenarian Study (OCS), è il più lungo studio sui centenari attualmente esistente. È condotto dal team di ricerca dell’Okinawa Research Center for Longevity Science (ORCLS) che dal 1975 passa in rassegna diversi aspetti della vita locale. Fra questi, anche gli aspetti sociali, psicologici e spirituali vengono tenuti in alta considerazione. Il professor Craig Willcox, intervistato nel servizio dalla Iene, è uno dei principali ricercatori. Willcox racconta alle telecamere delle Iene le scoperte che il suo team ha fatto nel corso degli anni. Prima di tutto è stata osservata la presenza di un particolare gene, il FOXO3, prontamente battezzato “gene della longevità”. I ricercatori hanno però rilevato come longevità e qualità della longevità siano inversamente proporzionali rispetto a un tot di fattori di rischio per la salute, avuti prima dei 50 anni. Ossia: le probabilità di arrivare in buona salute ad almeno 85 anni aumentano, se non si sono avuti più di 7 fattori di rischio prima della mezz’età. Viceversa, con più di 7 fattori, Willcox ci dice che le probabilità possono arrivare addirittura allo 0%.

Ed ecco i fattori di rischio:

  • Iperglicemia (con rischio di diabete)
  • Ipertensione (con rischio di infarto o ictus)
  • Eccessivo consumo d’alcool
  • Basso livello d’istruzione (l’educazione, favorirebbe una maggiore coscienza su cosa significhi avere uno stile di vita sano)
  • Essere in sovrappeso
  • Dieta povera (carenza di vitamine, proteine, sali minerali)
  • Trigliceridi alti (con rischio, ad esempio, di arteriosclerosi)
  • Bassa forza di presa nelle mani
  • Fumo
  • Solo per gli uomini: non essere sposati!

Quest’ultimo, alquanto curioso, come nota subito anche l’inviata Toffa nella sua intervista. Willcox lo motiva così: “le donne sono molto meglio [a prendersi cura di sé] non hanno bisogno degli uomini, possono sopravvivere anche senza”. Per questo avere una donna al proprio fianco aumenterebbe l’aspettativa di vita dell’uomo medio. Comunque stiano le cose, se pensiamo che storicamente le donne di Okinawa ricoprono un ruolo chiave nella società dell’isola, ciò potrebbe assumere un significato più esteso. E brave donne okinawane!

Non solo DNA di Okinawa

Le ricerche però non finiscono qui. Willcox racconta di aver esaminato con il suo team un campione di 8000 uomini con antenati giapponesi nella loro genealogia. Considerate le due variabili di analisi, presenza del gene FOXO3 (1) e stile di vita sano (2), hanno diviso i soggetti in 4 gruppi. Ebbene: gli individui che pur possedendo il gene legato alla longevità presentano però un’alimentazione non corretta, vivono meno rispetto a chi, pur non essendo predisposto geneticamente, mantiene un’alimentazione sana. Il che ci dimostra in modo lampante - come afferma Willcox - il potere che dieta salutare e stile di vita hanno sulla salute fisica degli individui.

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Altra cosa osservata, è che la popolazione okinawana non consuma più di 1100 calorie giornaliere circa. Il 10% in meno rispetto alle calorie solitamente indicate da ogni tabella nutrizionale. In particolare, la loro abitudine a “spizzicare piuttosto che abbuffarsi” - spiega sempre Willcox - è chiave. Uno spizzicare però fatto di cibo salutare: gli snack ad esempio sono fatti con frutta o pesciolini essiccati (snack diffuso anche nel Giappone continentale). Tutto ciò unitamente a un più ampio, salutare, stile di vita.

Vogliamo scoprire nel dettaglio in che cosa consiste tutto ciò? Partiamo dalle abitudini alimentari.

#1 Dieta tradizionale

Due, sono sostanzialmente i principi alla base della dieta okinawana e riguardano quantità e qualità del cibo.

腹八分 (Hara·Hachi·Bu): “ stomaco [pieno] per 8 parti ”

Ovvero 8 parti su 10: “Lascia sempre un po’ di spazio nello stomaco...cioè mangia fino ad essere pieno al 70-80%” spiega Willcox. Una linea guida, sembrerebbe di stampo confuciano, che ricerca la moderazione anziché la sazietà: mai riempirsi completamente ma mangiare lo stretto necessario. Ed infatti, racconta il secondo anziano alla giornalista Toffa: “Mangio il giusto ma senza riempirmi mai del tutto. Mi alzo sempre con un po’ di fame”.
Gli okinawani sono soliti consumare 5 pasti al giorno (cosa raccomandata anche dai medici nostrani peraltro) optando per cibi ipocalorici ma comunque sazianti. Teniamo presente poi l’impostazione della tavola, tipico comunque della cucina giapponese tutta. La contemporaneità delle pietanze, attraverso la loro disposizione in piattini e ciotoline, è un fattore che senz’altro predispone maggiormente a “piluccare” piuttosto che ad abbuffarsi.

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photo credits: travelbook.co.jp

I·Shoku·Dō·Gen ( 医食同源 ), “ cibo e medicina, stessa origine ”, di Okinawa

Per gli anziani locali, non c’è nulla di più sano che dedicarsi con amore alla cura dell’orto per poi nutrirsi dei frutti della terra. Se a questi aggiungiamo gli alimenti marini ecco che abbiamo la nostra dieta miracolosa. Ecco di cosa si compone:

  • Verdure. Soprattutto a foglia verde, radici gialle e quelle color arancio, tutte contenenti carotenoidi e antinfiammatorie;
  • Tuberi come la patata dolce viola di origine cinese, dall’indice glicemico molto basso. Spiega Eugenio Iorio, ricercatore italiano, sempre alle Iene: “è lì [nel viola] che ci sono questi famosi polifenoli [...] dialogano con il nostro DNA e quindi ci aiutano a controllare l’effetto dei radicali liberi”;
  • Legumi. Come fagioli di soia (con proteine e fibre ma senza grassi) e i derivati della soia;
  • Alghe, antinfiammatori naturali, ideali per i radicali liberi e anche per i capelli;
  • Pesce e i già citati pescetti essiccati, ricchi di magnesio e omega 3;
  • Tè. Particolarmente tè verde e al gelsomino, anti-invecchiamento;
  • Erbe da masticare come la Sakuna, “erba-elisir” dimagrante e antiossidante;
  • Frutti. Fra cui melone amaro Goya, usato nel piatto tipico “Goya Champuru” e agrumi Shikuwasa, antinfiammatori, entrambi tipici del luogo.

Okinawa Okinawa

photo credits: ohayo.it

“Mangiare come un arcobaleno”

Per usare le parole del dr. Willcox, in virtù della sfilata di colori che la grande varietà di frutta e verdura porta sulle tavole di Okinawa. Varietà. Un’altra parola d’ordine nell’agenda degli okinawani che giornalmente arriverebbero ad adoperare almeno 18 cibi. L’importante comunque, è sempre rispettare la stagionalità di frutta e verdura. In tal modo se ne coglie il massimo potenziale nutritivo. E naturalmente, la freschezza degli alimenti. Importante poi se si decide di cucinarli, particolarmente se si tratta di pesce e verdura: mai cuocerli troppo se si vogliono conservarne le sostanze nutritive!
Da notare poi, oltre a un bassissimo consumo di carboidrati, un uso altrettanto ridotto di sale e zucchero. Sì invece alle spezie, come la curcuma, e ai funghi.

E la carne?

Per effetto di quell’influenza cinese di cui si diceva all’inizio, il consumo di carne è anch’esso ben radicato nella cucina di Okinawa. Ma la carne, così come i latticini e i cereali, sono categorie ad alta densità nutrizionale...quindi vengono consumate in quantità ancora più ridotte! Perfino il riso è consumato di meno rispetto al resto del Giappone e ad esso spesso si preferisce la quinoa. Si parla di dieta ipocalorica anche per questo; perché controbilancia con quantità minori apporti nutrizionali altrimenti potenzialmente eccessivi. Anche perché: rimangono gli alimenti vegetali, marini e la frutta i veri portatori di tutte quelle sostanze benefiche che vanno a costituire l’elisir alimentare di Okinawa.

#2 Attività motoria e mentale

“Quando il corpo si muove, il cervello va a ritmo”- questo il motto di Jim Kwik, formatore di livello internazionale che si occupa di apprendimento veloce. Kwik sollecita sempre, anche chi per lavoro o studio deve passare le giornate seduto, a non stagnare tutto il tempo sulla sedia bensì a fare pause e muoversi. Anche solo pochissimi minuti di semplici movimenti, fra una pausa e l’altra, oltre che bere acqua e fare piccoli snack, sono sufficienti. Così facendo, ci suggerisce Kwik, le nostre prestazioni risultano anche migliori, poiché il cervello funziona meglio, se ci trattiamo in questo modo. L’esercizio come stimolatore della neurogenesi e della neuroplasticità: facilita la creazione di nuove connessioni neurali. Insomma, il movimento fisico, è una palestra anche per il cervello! Che ne esce rafforzato. E se il cervello è attivo, tutto l’organismo ne beneficia. È un circolo vizioso, benefico, che se attivato si autoalimenta. E a ciò si aggancia anche tutto il discorso nutrizionale fatto poc’anzi, così come i restanti fattori che vedremo tra poco. Teniamo presente che questo discorso non è a compartimenti stagni: tutto è collegato.

photo credits: okinawa.stripes.com

Osservando le vite dei nostri okinawani, ci accorgiamo che, a modo loro, mettono in pratica accorgimenti molto simili a quelli promossi dal signor Kwik. La seconda ragione del loro benessere sta infatti nel loro essere attivi, non solo appunto nel fisico ma anche nella mente! Il nonnino che vediamo nel servizio delle Iene, ad esempio, ogni giorno al rientro dalla passeggiata mattutina, legge il giornale. E badate, a 100 e passa anni, lo fa senza l’ausilio degli occhiali. Per non parlare poi del fatto che ha lavorato in campagna sino ai 97 anni!

Okinawa

photo credits: mediaset.it

Tra le attività più amate dai nonni di Okinawa - oltre all’orto, come già detto - troviamo la danza tradizionale o il dilettarsi con qualche strumento musicale tradizionale. Oppure, le arti marziali, ideali per il sistema corpo-mente-spirito, come nel caso del maestro Seikichi Uehara. Uehara, pochissimi anni prima della sua scomparsa avvenuta a 100 anni, ancora insegnava Karate ai suoi allievi. Oppure ancora: come non citare la tessitrice Toshiko Taira che ormai alla soglia dei 100 anni continua a lavorare come tessitrice di Bashōfu, antico tessuto usato per i Kimono (prodotto peraltro solo ad Ōgimi).

#3 Atteggiamento interno ed esterno

Ma non è solo questione di geni e di alimentazione. Gira che ti rigira si torna sempre lì: la mente (e lo spirito, che nella visione giapponese è un tutt’uno con la mente- come testimonia la parola心 “Kokoro” ossia cuore/mente). Ancora una volta, la visione delle cose si rivela determinante. I più cinici saranno stanchi di sentirsi propinare sempre “la solita solfa”, lo so; però invece di buttarla automaticamente sullo scetticismo, io comincerei a dare più credito al “potere della mente”. Un motivo ci sarà, se viene invocato da più parti. Ben lo saprà certamente, chi in qualche modo ha sperimentato le benefiche influenze di un mindset pulito, da distorsioni eccessivamente...interpretative, della realtà, mettiamola giù così.

La percezione del mondo e dunque di sé ha il potere di incidere sul mondo tangibile delle persone. Pensiamo alle malattie psicosomatiche ad esempio...o anche solo al dialogo interiore: i pensieri o le parole rivolte verso qualcosa possono influenzare questo qualcosa, inclusi noi stessi.
Così, anche gli studiosi degli okinawani riconoscono nell’ottimismo un fattore non di poco conto, al pari di fattori più tangibili. Un ottimismo, attenzione, inteso non come un far finta che le sfide nella vita non esistano...ma come un diverso modo di accoglierne tanto il bello quanto il brutto. Un’apertura nei confronti della vita, che rifugge la lamentela e la visione negativa delle cose. Una serenità data dal conoscere il proprio animo e il proprio posto nel mondo, con una conseguente fiducia nella vita e negli altri. Dal concedere il beneficio della possibilità, a tutto e tutti.

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#4 Rapporti interpersonali e vita sociale

Quando tutto ciò si verifica, la “macchina” mente-spirito funziona propriamente e si sta meglio a 360 gradi. Anche nelle piccole cose apparentemente scontate che però hanno una loro importanza, come i semplici ma autentici momenti di convivialità. La gente di Okinawa generalmente ha una vita sociale molto sana, basata sulla fiducia e su una comunicazione equilibrata. Spessissimo non ci si fa caso, proprio perché può apparire come “la solita retorica”, ma, credete, che la comunicazione è essenziale per mantenere dei rapporti umani sani e soddisfacenti. Quando le persone riescono ad avere una comunicazione sincera, spontanea, e serena - senza beghe di vario tipo - ecco che le relazioni sono perfettamente equilibrate. Senza rapporti umani equilibrati e soddisfacenti, la vita di un essere umano non è la stessa cosa. Come sono essenziali i momenti di sana solitudine, per riequilibrarsi e recuperare le proprie energie, altrettanto lo sono, ad un certo punto, anche i rapporti umani. Ma badate: che siano appunto sani ed equilibrati. Proprio come quelli dei nostri okinawani.
Il profondo senso di appartenenza alla comunità che caratterizza la loro rete di relazioni e il valore attribuito alle persone anziane, crea su queste ultime un effetto a cuscinetto che trasmette loro fiducia. Con una comunità pronta a sostenerli, i nonnini possono così vivere liberamente e sentirsi ancora utili. Volete farmi credere che l’amore e la fiducia che circonda queste persone non contribuisca alla loro qualità della vita?

#5 Spiritualità

E tutto ciò ci traghetta verso l’ultimo fattore che ci rimane da considerare: la spiritualità. “Ci traghetta” poiché un approccio alla vita come quello che abbiamo visto, da quella parte del mondo, va di pari passo con un certo tipo di sensibilità spirituale. Sono due cose intimamente legate, se ci pensiamo bene, e non potrebbe essere altrimenti.
È di Okinawa proprio quel famoso Ikigai ( 生き甲斐 ) la filosofia del trovare la propria ragione di vita, ciò che le dà un senso. Se manca questo, non c’è dieta sana o geni forti che tengano, per una vita lunga e di qualità. Anche il detto “Nan kuru nai sa ( なんくるないさ )” cioè “ Non ti preoccupare [va tutto bene] ” è made in Okinawa. Indica la credenza profonda che tutto quanto accade nella vita abbia un suo significato intrinseco, e che ci serva, per la nostra crescita. Detto ciò, ognuno può e dovrebbe fare tutto quanto in suo potere nelle situazioni che la vita che gli para davanti. Se questo viene fatto, allora, ci dice il motto “non hai nulla da temere: tutto ciò che potevi fare l’hai fatto, quindi va tutto bene, sii in pace. Tutto è come dev’essere”.
Preghiera e meditazione, anch’esse benefiche contro lo stress, sono molto presenti nella vita degli okinawani. La mattina ad esempio si raccolgono davanti a un altarino tradizionalmente presente nelle loro case, per commemorare e ringraziare gli antenati. Questo aspetto del ringraziamento è qualcosa di molto importante che potenzialmente si ripercuote sulla mentalità e sulla propria visione del mondo. E la stessa cura dell’orto già invocata più su oppure anche il mangiare con calma (dedicando tutta l’attenzione all’atto stesso, senza disperderla con la tv, ad esempio), è in verità di per sé, già meditazione.

Natura e ambiente

Una spiritualità in ogni caso sempre vicina alla natura...che ne riconosce l’anima. Che sia stata proprio la compartecipazione con la natura, ad aver ispirato nel tempo questa gente ai giusti comportamenti per uno stile di vita benefico? Sebbene questo aspetto specifico sia difficile da quantificare con dati empirici, io credo proprio di sì. Anche perché, se prendiamo per buono che mentalità e visione del mondo possano avere un potere sulle nostre vite...perché allora scartare a priori il potere dello “spirito della natura”? Proprio come gli animali (pensate alla pet-therapy) così può, anche la natura.
Lo spirituale è molto presente in tutto il Giappone ma a Okinawa può contare con una natura più incontaminata, almeno, rispetto ad altri posti nel mondo. Ricordiamoci che l’aumento dei radicali liberi - potenziali responsabili dei tumori - sono favoriti anche dall’inquinamento oltre che da comportamenti scorretti. Per ricollegarci dunque a quanto dicevamo all’inizio pensando alle altre zone blu, anche il fattore ambientale più propriamente detto - l’ecosistema - ha senz’altro un suo peso.

Okinawa

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Il potere dello stile di vita di Okinawa

E così, accanto a: alimentazione sana ed equilibrata; attività equilibrata di corpo e cervello; buon rapporto con la vita e di conseguenza con gli altri, ecco che abbiamo la dimensione spirituale. Ma di nuovo, non c’è una gerarchia tra questi fattori: esattamente come per le portate delle tavole giapponesi, essi sono tutti contemporanei. Ognuno dipende dall’altro e ognuno influenza l’altro. Certo, voi direte, c’è sempre una predisposizione genetica. Ma mentre i geni non si scelgono, tutti questi fattori sono invece nelle mani degli individui. Rientrano nel loro potere. I buoni geni sono indubbiamente un plus. Come però ampiamente osservato nelle ricerche OCS, un individuo con uno stile di vita sano vive meglio e a lungo, seppur sprovvisto di tale gene. Mentre l’efficacia dello stesso può venir anche annullata dalla mancanza di uno solo degli altri fattori. E questo lo stanno dimostrando già solo le nuove generazioni di Okinawa. I giovani del posto infatti, occidentalizzandosi - fra sedentarietà e tecnologia, consumo di alimenti preconfezionati e pieni di coloranti -, rischiano purtroppo di perdere i benefici salutari dei loro nonni.

Anche in Italia è possibile avere gli stessi apporti nutrizionali della dieta di Okinawa. Dopotutto la nostra dieta mediterranea, come ci dice anche Eugenio Iorio, si fonda sugli stessi principi. I corrispettivi alimentari dunque li disponiamo anche noi, nelle nostre terre e nel nostro mare. Si parla poi anche di “ MediterrAsian diet ” se si cerca di integrare i due modelli nutrizionali. D’altra parte, stile di vita di Okinawa e stile sardo e ikariano hanno degli aspetti comuni: elevato consumo di verdure e legumi, vita attiva e soprattutto all'aria aperta, e infine, vita sociale e legami familiari forti.