I 7 giardini giapponesi più belli di Tokyo

Oasi di pace

Normalmente quando pensiamo alla parola “città” ci vengono in mente immagini di strade, case, palazzi, grattaceli, caos, traffico e difficilmente immaginiamo grandi parchi verdi. Alle volte questo è un grande errore perchè molte città nascondono invece oasi di tranquillità proprio nel cuore della loro vivacità. Tokyo ne è un esempio: numerosi nihon teien (giardini giapponesi) rendono la metropoli un piccolo paradiso di serenità!

Il design del giardino è un’importante forma d’arte nipponica che affonda parte delle sue radici nel Buddismo Zen: la spiritualità degli elementi naturali come gli stagni e le pietre si fonde con l’ospitalità della componente scenica grazie alle ciotole per l’acqua e le case da té.

Ogni giardino ha uno scopo diverso, ma il concetto alla base è sempre uno solo: trovare la solitudine come elemento essenziale di pace interiore e ammirare il susseguirsi delle quattro stagioni. Proviamo ora a visitarne 7, i più belli per immergerci in un’armonia di colori che solo la natura ci può regalare.

Photo Credits: flickr.com

1- Koishikawa Korakuen

Situato vicino alla stazione di Iidabashi, questo giardino è un'opera d'arte vivente: progettato secondo il principio della “miniaturizzazione” che cerca di ricreare paesaggi su scala ridotta, questo spazio straordinario include colline, valli, laghetti e ruscelli. “Daisensui”, il laghetto centrale, riflette il cielo e i circostanti alberi di ciliegio; il rosso “Engetsukyo”, il “ponte della luna piena”, offre una vista mozzafiato sull’intero giardino

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2- Rikugien

Situato nel quartiere di Bunkyoè uno dei pochi giardini rimasti dell’era Edo. Il nome “Rikugien” significa “giardino dei sei principi”, riferendosi alle sei scuole di poesia giapponese che ispirano il suo design. Durante la primavera, i ciliegi in fiore creano una vista mozzafiato, mentre in autunno le foglie cambiano colore, trasformando il giardino in una tavolozza di tonalità rosse, gialle e arancioni.

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3- Hamarikyu Gardens

Posizionato vicino alla baia di Tokyo. il giardino è progettato in stile "kaiyu-shiki teien", un tipo di giardino giapponese che prevede un percorso circolare intorno a un laghetto centrale “Shioiri”, il quale è collegato alla baia di Tokyo e subisce le maree ed il piccolo padiglione di tè Nakajima-no-Ochaya, situato su un'isola nel laghetto. Sul ponte di legno si gode di una vista spettacolare sul giardino e sulla moderna architettura urbana.

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4- Shinjuku Gyoen

Questo giardino è un'oasi di tranquillità nel frenetico quartiere di Shinjuku. Offre una vasta gamma di paesaggi, tra cui giardini giapponesi tradizionali, giardini paesaggistici occidentali (inglesi e francesi) e ampie distese di prati.

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5- Gardens of the Imperial Palace

Noti anche come East Gardens, I giardini circostanti il Palazzo Imperiale sono aperti al pubblico durante tutto l'anno e offrono una visione della natura ben curata nel cuore di Tokyo

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6- Kiyosumi Teien

Situato nel quartiere di Kiyosumi, questo giardino è noto per la sua bellezza serena e per i suoi elementi unici, tra cui una cascata artificiale ed un laghetto di carpe koi attorno al quale sono disposte delle pietre proveniente dalla raccolta in tutto il Giappone da parte del fondatore di Mitsubishi Iwasaki Yataro. Diversi “isowatari” , grandi trampolini di lancio, sono posizionati nelle parti meno profonde dello stagno dove è possibile ammirare i riflessi degli alberi sull'acqua.

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7- Nezu Museum Garden

Il giardino è stato creato insieme al museo nel 1940 dal collezionista d'arte Nezu Kaichirō, Jr. Come una delle principali istituzioni culturali di Tokyo. il Nezu Museum e il suo giardino offrono una riflessione della storia e della cultura giapponese.

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Esplorare questi giardini è un modo meraviglioso per scoprire la bellezza e la tranquillità che si trovano nascoste tra i grattacieli e le strade affollate di Tokyo: vi suggeriamo sempre di guardarvi intorno perchè spesso le perle nascoste necessitano di attenzione per essere scovate, ma non ve ne pentirete di certo! Godetevi una fuga tranquilla e rinfrescante dal caos della vita urbana.


Yamanote Line: 10 segreti e curiosità da scoprire

Yamanote Line: Ieri e oggi, un destino imprescindibile

Si lo so, quando si parla di storia qualcuno potrebbe storcere il naso e pensare che sarà noioso quello che stiamo per dire, ma abbiate fiducia in noi e continuate a leggere…

La Yamanote Line di Tokyo è una delle linee ferroviarie più importanti e trafficate della città.

Fu aperta nel 1885 dalla società ferroviaria privata Nippon Railway Company. Originariamente, la linea faceva il giro intorno al centro di Tokyo, collegando le principali stazioni ferroviarie della città ed era conosciuta anche come “La via della seta”. Nel corso degli anni, la linea subì diverse estensioni e modifiche per soddisfare la crescente domanda di trasporto nella capitale giapponese diventando un pilastro del trasporto pubblico di Tokyo, giocando un ruolo vitale nel collegare le diverse aree della metropoli.

yamanote

Photo Credits: https://www.gov-online.go.jp/

Oggi, la Yamanote Line è gestita dalla East Japan Railway Company (JR East) e continua a essere una delle linee ferroviarie più affollate del mondo, trasportando milioni di passeggeri ogni giorno attraverso i quartieri più importanti di Tokyo, come Shibuya, Shinjuku, Ikebukuro e Ueno. La Yamanote Line è diventata un'icona della vita quotidiana a Tokyo e uno dei simboli del sistema ferroviario giapponese altamente efficiente e affidabile.

Yamanote Line: Segreti e Curiosità

Grazie alla Yamanote Line è possibile raggiungere 30 quartieri di Tokyo ed è un vero e proprio tesoro di segreti e curiosità! Saliamo a bordo e scopriamo insieme 10 tappe imperdibili!

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1 - Shin-Okubo

Questa stazione è nota come la "piccola Corea" di Tokyo, con una vasta gamma di negozi, ristoranti e caffè che offrono cibo e cultura coreana.

2 - Meguro River Cherry Blossoms

Durante la stagione dei fiori di ciliegio, il tratto del fiume Meguro vicino all’omonima stazione si trasforma in un paradiso di petali rosa.

3 - Nishi-Nippori Yanaka Ginza

Questa piccola via commerciale vicino a Nishi-Nippori è un'oasi di negozi tradizionali e ristoranti rustici che offrono una prospettiva autentica della vita quotidiana a Tokyo.

4 - Sugamo

Conosciuto come il "Harajuku per anziani", Sugamo è popolare tra gli anziani per i suoi negozi che vendono prodotti tradizionali giapponesi e per il tempio Koganji, famoso per la sua pietra della fortuna rossa.

5 - Yūrakuchō Gado-shita

Sotto le tracce della Yamanote a Yūrakuchō si trova un labirinto di piccoli bar e ristoranti chiamato "Gado-shita", che offre un'atmosfera unica e vivace.

6 - Akihabara

Nota come la mecca della cultura otaku, Akihabara è piena di negozi di anime, manga, elettronica e caffè a tema.

7 - Komagome

Questo quartiere è famoso per il giardino Rikugien, uno dei più belli di Tokyo, che offre paesaggi incantevoli in ogni stagione.

8 - Shibuya Crossing View from Starbucks

Mentre Shibuya Crossing è un punto caldo per i turisti, pochi sanno che il Starbucks vicino alla stazione offre una vista panoramica perfetta per osservare il caos urbano di Tokyo dall'alto.

9 - Iidabashi e Koishikawa Korakuen

Questa stazione è vicina al bellissimo giardino giapponese di Koishikawa Korakuen, un'oasi di tranquillità nel cuore di Tokyo.

10 - Meiji Shrine Gyoen

Non lontano dalla stazione di Harajuku, il vasto parco intorno al Santuario Meiji è un luogo ideale per una passeggiata rilassante lontano dal trambusto della città.

yamanotePhoto Credits: flickr.com

Che dite, saliamo a bordo della prossima fermata e andiamo insieme alla scoperta di nuovi luoghi?


Dieci cose che non si sanno su Hachiko

Tutti, ma proprio tutti conoscono la storia del fedele Hachiko, il cane che negli anni 30 commosse i cuori di tutto il mondo per la sua fedeltà profonda, non tutti però conoscono alcuni particolari su questo dolce cane la cui statua simbolo si erge a Shibuya.

10 cose che non si sanno su Hachiko

Autore: Sara

photo credits: lastampa.it

1- Le Origini

Il bellissimo Akita-inu nacque nel 1923 a Odate nella prefettura di Akita (da cui deriva il nome della razza, “cane di Akita”) e venne acquistato dallo scienziato Hidesaburo Ueno che lo chiamò Hachi, “8”. Proprio ad Odate, di fronte alla stazione, si trova un’altra statua di Hachi un santuario e il museo Akitainu Hozonkai.

photo credits: keblog.it

2- L’amore che vince la cattiveria

Quando Ueno morì nel 1925, Hachi trovò una nuova sistemazione presso l’ex giardiniere dello scienziato, Kikuzaburo Kobayashi a Tomigaya, poco lontano da Shibuya. Ogni giorno il fedele cane si recava così alla stazione di Shibuya ad attendere il ritorno di Ueno, ma per 10 anni questa “passeggiata” non fu sempre tranquilla: Hachiko venne maltrattato e picchiato svariate volte da pedoni, bambini e persone prive di una qualsivoglia umanità. Vergognoso, non è vero?

photo credits: greenme.it

3- Hachi diventa Hachiko

Nel 1932 il presidente della Nihon Ken Hozonkai, associazione per la conservazione del cane giapponese, Hirokichi Saito venne a conoscenza della storia di Hachi e scrisse un articolo raccontando le peripezie e i maltrattamenti subiti da questo fedele cane trasformandolo in breve tempo in un simbolo. Fu a questo punto che venne aggiunto il suffisso “ko” al nome di Hachi per dimostrare rispetto per la sua devozione e lealtà.

photo credits: hotcorn.com

4- La Statua onorifica

Teru Ando, conoscente di Saito, scolpì la famosa statua di Hachiko (mentre il cane era ancora in vita!) che venne inaugurata nel 1934. Prima che ciò avvenisse numerosi truffatori tentarono di spillare soldi sostenendo di essere loro i creatori della statua! Non c’è davvero mai limite all’avidità umana…

photo credits: japantravel.com

5- La Fusione delle Statue

La Seconda Guerra Mondiale non risparmiò nulla, nemmeno le statue di Hachiko. Il metallo con il quale erano costruite doveva essere impiegato “per il bene della guerra” e quindi vennero fuse.
Alla fine della guerra del Pacifico il figlio di Ando, Takeshi, costruì l’attuale statua a Shibuya. Anche quella alla stazione di Odate venne ricostruita nel 1967.

photo credits: animalpedia.it

6- Hachiko e Ueno per sempre insieme

Fin’ora abbiamo sempre parlato delle statue dedicate al cucciolo, ma ne esiste un’altra, bellissima, che riunisce Hachiko ed il suo padrone. Fu costruita 80 anni dopo la morte di Hachiko, quando l’università di Tokyo decise di rendere omaggio ai due protagonisti della triste storia. Grazie alla donazioni provenienti da privati ed aziende, oltre 10 milioni di yen hanno reso possibile la riunione tra il cane ed il suo padrone. Oggi la statua sorge nel campus dell'Università di Tokyo, proprio accanto al Parco Ueno.

photo credits: womanuntamed.com

7- Un Cimitero ricco di fascino

Credo di essere tra i pochi che adorano visitare i cimiteri e quello di Aoyama, risalente al 1872, si colloca sicuramente tra i più belli: vicino alle stazioni di Gaienmae e Aoyama Itchome, si estende come se fosse un immenso parco ed ospita numerosi personaggi famosi le cui pietre tombali si ergono svelando un’architettura unica. Naturalmente Ueno giace proprio qui ed accanto alla sua tomba vi è un monumento eretto subito dopo la morte di Hachiko nel 1935.

photo credits: wikimedia.org

8- Tra il macabro e la scienza

Questo punto lo definirei quasi disgustoso, ma se avete il coraggio (e lo stomaco) di ferro allora sappiate che è possibile osservare gli organi interni di Hachiko conservati in bottiglie campioni al museo dell'archivio della Facoltà di Agraria dell'Università di Tokyo, vicino al Parco Ueno. Varie autopsie eseguite tra il 1935 e il 2010 avevano riscontrato infestazioni da malattie parassitarie e, infine, un cancro, vera causa della morte di Hachi. Presso il Museo Nazionale della Natura e della Scienza esiste anche un Hachiko tassidermizzato con la pelliccia originale del cane…...

photo credits: timeout.com

9- I Protettori di Tokyo

Nel parco di Ueno si erge anche la statua del samurai Saigo Takamori con la sua fedele Tsun. Tsun e Hachiko sono divenuti presto un simbolo per i giapponesi e dichiarati i “protettori di Tokyo e dell’economia giapponese”.

photo credits: ilgiornale.it

10- Richard Gere come Ueno?

Sono sicura che tutti (o quasi) abbiano visto il film “Hachiko - Il tuo migliore amico” (Titolo originale: “Hachi: A Dog's Tale”) , ma vi siete fermati a pensare che questa pellicola del 2009 è ambientata negli Stati Uniti? La storia è comunque straziante e bellissima, ma non riesce a portare alla luce la cultura nipponica come invece riesce a fare il film originale del 1987, “Hachiko Monogatari”


Dieci cose che non si sanno su Hachiko

Tutti, ma proprio tutti conoscono la storia del fedele Hachiko, il cane che negli anni 30 commosse i cuori di tutto il mondo per la sua fedeltà profonda, non tutti però conoscono alcuni particolari su questo dolce cane la cui statua simbolo si erge a Shibuya.

10 cose che non si sanno su Hachiko

Autore: Sara

photo credits: lastampa.it

1- Le Origini

Il bellissimo Akita-inu nacque nel 1923 a Odate nella prefettura di Akita (da cui deriva il nome della razza, “cane di Akita”) e venne acquistato dallo scienziato Hidesaburo Ueno che lo chiamò Hachi, “8”. Proprio ad Odate, di fronte alla stazione, si trova un’altra statua di Hachi un santuario e il museo Akitainu Hozonkai.

photo credits: keblog.it

2- L’amore che vince la cattiveria

Quando Ueno morì nel 1925, Hachi trovò una nuova sistemazione presso l’ex giardiniere dello scienziato, Kikuzaburo Kobayashi a Tomigaya, poco lontano da Shibuya. Ogni giorno il fedele cane si recava così alla stazione di Shibuya ad attendere il ritorno di Ueno, ma per 10 anni questa “passeggiata” non fu sempre tranquilla: Hachiko venne maltrattato e picchiato svariate volte da pedoni, bambini e persone prive di una qualsivoglia umanità. Vergognoso, non è vero?

photo credits: greenme.it

3- Hachi diventa Hachiko

Nel 1932 il presidente della Nihon Ken Hozonkai, associazione per la conservazione del cane giapponese, Hirokichi Saito venne a conoscenza della storia di Hachi e scrisse un articolo raccontando le peripezie e i maltrattamenti subiti da questo fedele cane trasformandolo in breve tempo in un simbolo. Fu a questo punto che venne aggiunto il suffisso “ko” al nome di Hachi per dimostrare rispetto per la sua devozione e lealtà.

photo credits: hotcorn.com

4- La Statua onorifica

Teru Ando, conoscente di Saito, scolpì la famosa statua di Hachiko (mentre il cane era ancora in vita!) che venne inaugurata nel 1934. Prima che ciò avvenisse numerosi truffatori tentarono di spillare soldi sostenendo di essere loro i creatori della statua! Non c’è davvero mai limite all’avidità umana…

photo credits: japantravel.com

5- La Fusione delle Statue

La Seconda Guerra Mondiale non risparmiò nulla, nemmeno le statue di Hachiko. Il metallo con il quale erano costruite doveva essere impiegato “per il bene della guerra” e quindi vennero fuse.
Alla fine della guerra del Pacifico il figlio di Ando, Takeshi, costruì l’attuale statua a Shibuya. Anche quella alla stazione di Odate venne ricostruita nel 1967.

photo credits: animalpedia.it

6- Hachiko e Ueno per sempre insieme

Fin’ora abbiamo sempre parlato delle statue dedicate al cucciolo, ma ne esiste un’altra, bellissima, che riunisce Hachiko ed il suo padrone. Fu costruita 80 anni dopo la morte di Hachiko, quando l’università di Tokyo decise di rendere omaggio ai due protagonisti della triste storia. Grazie alla donazioni provenienti da privati ed aziende, oltre 10 milioni di yen hanno reso possibile la riunione tra il cane ed il suo padrone. Oggi la statua sorge nel campus dell'Università di Tokyo, proprio accanto al Parco Ueno.

photo credits: womanuntamed.com

7- Un Cimitero ricco di fascino

Credo di essere tra i pochi che adorano visitare i cimiteri e quello di Aoyama, risalente al 1872, si colloca sicuramente tra i più belli: vicino alle stazioni di Gaienmae e Aoyama Itchome, si estende come se fosse un immenso parco ed ospita numerosi personaggi famosi le cui pietre tombali si ergono svelando un’architettura unica. Naturalmente Ueno giace proprio qui ed accanto alla sua tomba vi è un monumento eretto subito dopo la morte di Hachiko nel 1935.

photo credits: wikimedia.org

8- Tra il macabro e la scienza

Questo punto lo definirei quasi disgustoso, ma se avete il coraggio (e lo stomaco) di ferro allora sappiate che è possibile osservare gli organi interni di Hachiko conservati in bottiglie campioni al museo dell'archivio della Facoltà di Agraria dell'Università di Tokyo, vicino al Parco Ueno. Varie autopsie eseguite tra il 1935 e il 2010 avevano riscontrato infestazioni da malattie parassitarie e, infine, un cancro, vera causa della morte di Hachi. Presso il Museo Nazionale della Natura e della Scienza esiste anche un Hachiko tassidermizzato con la pelliccia originale del cane…...

photo credits: timeout.com

9- I Protettori di Tokyo

Nel parco di Ueno si erge anche la statua del samurai Saigo Takamori con la sua fedele Tsun. Tsun e Hachiko sono divenuti presto un simbolo per i giapponesi e dichiarati i “protettori di Tokyo e dell’economia giapponese”.

photo credits: ilgiornale.it

10- Richard Gere come Ueno?

Sono sicura che tutti (o quasi) abbiano visto il film “Hachiko - Il tuo migliore amico” (Titolo originale: “Hachi: A Dog's Tale”) , ma vi siete fermati a pensare che questa pellicola del 2009 è ambientata negli Stati Uniti? La storia è comunque straziante e bellissima, ma non riesce a portare alla luce la cultura nipponica come invece riesce a fare il film originale del 1987, “Hachiko Monogatari”


Nara, la capitale del Buddhismo in Giappone

Il Giappone come l'Italia ha tantissime mete turistiche e fra queste troviamo i sette templi di Nara, una meta ricca di storia e cultura.

I 7 Templi di Nara, la capitale del Buddhismo

Autore: Sara

Chi si avvicina per la prima volta alla cultura del Sol Levante è portato a credere che il Buddhismo sia da sempre stata una filosofia strettamente nipponica anche grazie ai numerosi templi sparpagliati per il Paese. In realtà pochi sanno che fu un re coreano ad “esportare” questa religione in Giappone! Tutto iniziò quando la prefettura di Nara era il centro della politica, della cultura e dell'economia del Paese. Il popolo giapponese era prettamente shintoista cioè seguace dello "Shinto" (神道): una religione politeista di tipo animista che verte attorno all'esistenza di molti Kami ("dei", "spiriti") che si crede abitino tutte le cose. Nel 552, il re Seond di Baekje, regno sorto nel sud ovest della penisola di Corea, portò alla corte giapponese una statua di Shakyamuni (Buddha storico) e numerosi satra. L'imperatore dell'epoca, Kimmei, ne rimase attratto e lentamente il buddismo si affermò come nuova religione di Stato.

Nara divenne così Nanto Shichi Daiji (南都七大寺), la capitale dei templi buddisti costruiti su ordine imperiale, oggi patrimonio mondiale, e comprende:

  • Horyuji(法隆寺)
  • Houkiji (法起寺)
  • Todaiji(東大寺)
  • Kofukuji(興福寺)
  • Gangoji (元興寺)
  • Yakushiji (薬師寺)
  • Toshodaiji (唐招提寺)

I sette templi di Nara

Nara

photo credits: https://www.japan-guide.com

Horyuji

Il tempio Horyuji è il primo sito ad essere stato designato patrimonio dell’UNESCO in Giappone. Fondato nel 607 dal principe Shotoku su desiderio del padre, l'imperatore Yomei, venne ricostruito nel 670 a seguito di un incendio che lo bruciò quasi completamente e oggi è considerato la culla del buddismo giapponese. La superficie sulla quale si estende il largo complesso del tempio può essere suddivisa in lato ovest, Saiin garan (西院伽藍, ove sono situate la pagoda a cinque piani, la sala d'oro, il corridoio e il portale interno) e lato est, Toin garan (東院伽藍, dove sorge l’ottagonale Yumedono (夢殿, la sala delle visioni).
Sito Ufficiale: http://www.horyuji.or.jp/assets/images/pdf/english.pdf

Nara

photo credits: masterpiece-of-japanese-culture.com

Houkiji

Questo tempio dalle molteplici identità (è infatti conosciuto anche come Okamoto-dera 岡本寺, Okamotoniji 岡本尼寺, Ikejiri-dera 池後寺 e Ikejiriniji 池後尼寺) sorge a poco meno di 2 km da Horyuji. Originariamente fu il palazzo della famiglia di Shotoku Taishi, ma prima di morire egli ordinò al figlio Yamashirono-ooenoo di ricostruirlo sotto forma di tempio. Houkiji è costituito da una sala principale ed una pagoda a 3 piani, alta circa 23 metri: la più grande e antica del suo genere in Giappone (fu costruita nel 685). Un simbolo di questo tempio è senza dubbio il Kannon di legno a 11 teste e il Bosatsu di bronzo (entrambi dei della compassione)
Sito Ufficiale: http://www.horyuji.or.jp/assets/images/pdf/english.pdf

photo credits: shoreexcursions.asia

Todaiji

Todaiji fu fondato dall’imperatore Shomu nel 752, con il mero scopo di ospitare la statua del Grande Buddha nella Grande Sala (Daibutsuden). Dopo 7 lunghi anni di realizzazione, il tempio fu bruciato a seguito della guerra nel 1180 e continuò a subire le conseguenze dei conflitti fino al 1567. Restaurato ogni volta, la forma attuale del tempio risale al 1709 ed il suo Buddha seduto rappresenta Vairocana ed è fiancheggiato da due Bodhisattva. I terreni del tempio si estendono per quasi tutta la parte settentrionale del parco nazionale di Nara: per questo motivo non è raro imbattersi nei famosi cervi in cerca di attenzione!
Sito Ufficiale: http://www.todaiji.or.jp/english/index.html

Nara

photo credits: japanvisitor.com

Kofukuji

Kofukuji era originariamente il tempio del potente clan Fujiwara e uno dei templi principali della setta Hosso (法相宗), una delle sei sette di Nanto. Il tempio è costituito da diversi edifici di importante valore storico e ben due pagode: una di cinque piani e una di tre piani, che purtroppo non possono essere visitate. A supplire questa mancanza però, c’è il Museo del Tesoro Nazionale nel quale è possibile ammirare la statua di Ashura e la testa di bronzo di Buddha.
Sito Ufficiale: https://www.kohfukuji.com/english.html

Nara

photo credits: kintetsu.co.jp

Gangoji

Fondato da Soga no Umako, Gangoji è tra i più antichi templi del Giappone, essendo stato trasferito da Asuka a Nara nel 718. Quasi come una tetra tradizione, anche questo tempio subì l’ira della natura e la devastazione del fuoco e nel 1451 quasi tutta la struttura venne distrutta e non fu più possibile recuperare l’antico splendore di Gangoji se non per la sala Zenshitsu, posta sul retro, unica superstite originaria.
Sito Ufficiale: https://gangoji-tera.or.jp/

photo credits: japan-guide.com/

Yakushiji

Esattamente come Kofukuji, anche Yakushiji è il tempio principale della setta Hosso del buddismo. Fu costruito dall’imperatore Tenmu per sua moglie nel 680. Come ogni tempio, anche questa volta troviamo una grande statua del Buddha: in questo caso Yakushi-Nyorai possiede il potere della guarigione ed è in grado di dare conforto. Inoltre Yakushiji possiede due pagode, una sala dorata ed una collezione di oggetti d'arte buddista, tra cui una Triade Yakushi, un Kannon-Sho e dipinti di grande pregio
Sito Ufficiale: http://www.nara-yakushiji.com/

Nara

photo credits: toshodaiji.jp/

Toshodaiji

Toshodaiji è stato il primo tempio fondato nel 759 da un sacerdote cinese, Ganjin, che venne inviato dall’imperatore con lo scopo di insegnare ai sacerdoti e migliorare il buddismo in Giappone. I suoi insegnamenti ebbero una grande influenza per il Paese ed oggi è il tempio principale della setta Rishu (律宗). La sala principale, Kondo, contiene ben 9 statue di Buddha!
Sito ufficiale: https://www.toshodaiji.jp/english/index.html

7 Templi, 7 affascinanti meraviglie dedicate alla cura dell’anima: nonostante possano sembrare estremamente simili tra loro, ogni costruzione è caratterizzata da elementi unici e preziosi da scoprire ed ammirare! Che ne dite di dedicare un po’ del vostro tempo a passeggiare per Nara alla scoperta di questi luoghi devoti? Ci siete già stati? Fateci sapere le vostre impressioni ed emozioni!

photo credits: thejapanesedreams.com


I meravigliosi giardini del Giappone

Con Japan Italy Bridge abbiamo già affrontato un deep focus sul Palazzo Imperiale e i suoi giardini, ma quelli non sono gli unici giardini del Giappone. Oggi vi parleremo degli spazi verdi più belli del Sol Levante.

Giardini del Giappone, il verde in mezzo alla modernità

Autore: Sara

giardini del Giappone

photo credits: giardiniepiscine.it

Ogni Paese del mondo per quanto evoluto, tecnologico e caotico sia, nasconde sempre un’oasi di pace straordinaria, un luogo dove la mano dell’uomo non ha distrutto, ma piuttosto si prende cura di bellezze naturali dal fascino indescrivibile. Non parliamo dei parchi naturali questa volta, ma di ritagli di verde più piccoli come i giardini. Spazi verdi che sorgono in luoghi inaspettati e che regalano alla mente e all’anima una pausa da tutto ciò che è macchine-grattacieli-cemento e che, anche in questo caso, il Giappone sa regalarci con la sua solita eleganza e quel tocco spirituale unico nel suo genere.

Il viaggio che vi proponiamo oggi vi farà rilassare, che ne dite quindi di mettervi comodi, di prepararvi una deliziosa tisana e di seguirci?

Kenrokuen

giardini del Giappone

photo credits: japantravel.com

La prima delle nostre tappe è Kanazawa dove si trova il Kenrokuen che ricopre una superficie di 11,4 ettari ed è considerato uno dei giardini più belli del Sol Levante. Mantenuto rigoglioso di generazione in generazione dalla famiglia Maeda fin dal periodo feudale, in giapponese il nome Kenrokuen significa “giardino dei 6 attributi” perchè in esso sono racchiude le 6 caratteristiche del giardino perfetto: spazio, tranquillità, artificio, antichità, corsi d’acqua e panorami.

Official Web Site: pref.ishikawa.jp

Korakuen

photo credits: okayama-kanko.net

La seconda tappa ci porta a Okayama, dove il magnifico Korakuen sorge: costruito nel 1687 esclusivamente come luogo di intrattenimento per la famiglia dominante, fu aperto al pubblico nel 1884, quando divenne proprietà della prefettura di Okayama. Esso racchiude boschi, campi di té e riso, uno spettacolare stagno e tanti piccoli ruscelli.

Official Web Site: okayama-korakuen.jp

Giardini del Giappone: Kairakuen

photo credits: flickr.com

Siamo giunti al terzo tra i più bei giardini paesaggistici del Giappone, ci troviamo a Mito, la capitale della Prefettura di Ibaraki e qui Kairakuen fu da sempre luogo di accesso a tutti, non solo per il signore locale Tokugawa Nariaki che lo fece costruire nel 1841. Questo splendido spazio verde è diventato famoso grazie al Mito Ume Matsuri, il festival dei prugni in fiore, che si tiene tra febbraio e marzo: uno spettacolo dal fascino intramontabile.

Official Web Site: ibaraki-kairakuen.jp

Kokedera

giardini del Giappone

photo credits: saihoji-kokedera.com

La nostra quarta visita si terrà a Kyoto, al giardino che ospita 120 tipi di muschio diversi! E’ il Kokedera o Saihoji Temple, originariamente parte di una villa reale è divenuto un tempio quasi 1000 anni fa ed oggi è considerato un patrimonio mondiale dell'UNESCO. Visitare questo luogo offre anche un’opportunità unica, poiché prima di poter accedervi i visitatori devono partecipare al kito (canto) e al shakyo (la copia delle scritture buddiste).

Official Web Site: saihoji-kokedera.com

Giardini del Giappone: Shinjuku Gyoen

photo credits: www.japanistry.com

Per la nostra quinta tappa voliamo direttamente nella bella Tokyo dove possiamo imbatterci nello Shinjuku Gyoen National Garden, uno dei parchi nazionali più suggestivi del Paese. Costruito nel periodo Edo come residenza privata del signore feudale Kiyonari Naito è diventato luogo aperto al pubblico nel 1949. Al suo interno ci si può immergere in vari giardini, primo tra tutti il più antico quello giapponese ricco di laghi, isolette, ponti e padiglioni. Dopodiché ci si può perdere nel magnifico roseto del giardino alla francese e, non ultimo, addentrarsi nel giardino all'inglese con i suoi ampi prati verdi costeggiati da splendidi ciliegi: qui l'Hanami acquista una magia indescrivibile!

Official Web Site: env.go.jp

Giardini Est del Palazzo Imperiale

giardini del Giappone

photo credits: enjoy.vivi.city

Concludiamo il nostro percorso naturale restando a Tokyo. Oltre 210.000 metri quadrati in cui, un tempo, sorgevano le mura del Castello di Edo, residenza dello shogun Tokugawa che governò il Giappone dal il 1603 al 1867. Ai piedi della collina, esattamente dove prima si ergevano le mura difensive, si stende questo meraviglioso giardino in cui lo stagno Ninomaru ospita alcune piante acquatiche piuttosto rare ed è ricoperto di Nuphar Japonicum, ninfee gialle.

Official Web Site: https://www.kunaicho.go.jp


Giappone meta preferita per chi si vuole trasferire all'estero

Il fascino senza tempo, le opportunità che offre, la frenesia delle sue città e la grandezza delle stesse eleggono il Giappone come la destinazione preferita per tutti coloro che decidono di trasferirsi all’estero per vivere e lavorare.

Giappone meta preferita per chi si vuole trasferire all'estero

Autore: Sara

photo credits: tokeet.com

Secondo una ricerca globale, Tokyo spicca tra le 5 città al mondo scelte per intraprendere una nuova esperienza di vita. Lavorare in Giappone pare essere diventata l’aspirazione di molti, secondo una recente classifica di Remitly , società inglese che si occupa di offrire un servizio globale di trasferimento digitale di denaro per aiutare tutti gli immigrati nel mondo che fanno grandi sacrifici per vivere e lavorare in un altro paese, il numero di coloro che scelgono il Sol Levante come meta per cambiare vita è sorprendentemente elevato, persino in questo periodo di pandemia.

Giappone

photo credits: travelwithvik.com

Le ricerche online parlano chiaro: il Giappone è il secondo paese al mondo in cui tutti vogliono trasferirsi subito dopo il Canada! Per la maggior parte i dati provengono soprattutto da Paesi specifici come Stati Uniti, Australia, Thailandia, Laos, Myanmar, Indonesia, Cambogia e Filippine.
Ad aumentare il desiderio di cambiare vita guardando alla Terra dei Samurai come meta è anche l’alto grado di sicurezza, bellezza e cultura. Del resto lo abbiamo potuto constatare in questo ultimo anno: la risposta del Giappone alla pandemia, la sua rigorosa condotta nella messa in Stato di Emergenza evitando panico e disinformazione nei confronti della popolazione, non ha fatto altro che aumentare il desiderio di fare la grande mossa e “tentare la sorte” in una delle magnifiche regioni di questa immensa isola.

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Voi cosa ne pensate? Fareste il “grande salto” ? Anche per voi il Giappone è la meta prescelta oppure ci sono altri Paesi verso i quali state puntando? Fatecelo sapere! E comunque sia, vi auguriamo di realizzare ogni vostro sogno al più presto, 頑張ってください!


Le tavolette Ema e i templi del Giappone

Continua la rubrica di Japan Italy Bridge per promuovere gli approfondimenti legati al mondo del Giappone, oggi parliamo di delle Tavolette Ema che troviamo in tutti i templi del Giappone.

Alzi la mano chi in qualche anime non ha mai visto queste curiose targhette di legno. Magari in un santuario shinto, con una miko – la sacerdotessa vestita di rosso e bianco – alle prese con le sue faccende. In ogni caso, che le abbiate già viste o meno, oggi potrete saperne di più.

Ema 絵馬 Le tavolette votive in legno giapponesi

Autore Ospite: Flavia

Traducibile come “Raffigurazione di cavallo”, le Ema sono targhette piatte concepite per trascriverci desideri e paure da rivolgere a dei/spiriti (kami) e buddha. In altre parole, rappresentano un modo tramite cui le persone possono scrivere un messaggino con destinazione mondo spirituale. Anticamente in argilla, hanno poi iniziato ad essere realizzate in legno. Una volta scritta la propria preghiera, l’Ema va appesa in uno spazio dedicato presso santuari shintoisti ma anche templi buddhisti. Si tratta infatti di una consuetudine di origine shinto estesasi poi anche ai templi. Essendo esposte tutte assieme “pubblicamente”, chiunque naturalmente può darci una sbirciatina (importante è che siano anche i kami a farlo).

È però anche possibile tenersele per sé, a mo’ di cimelio. La grande varietà di rappresentazioni, colori e stili che le caratterizza, attira da sempre la curiosità dei folkloristi. Insieme alle iscrizioni in esse riportate rappresentano un vero e proprio prisma, attraverso cui una vasta gamma di storie di vita ci viene presentata. Uno spaccato di spiritualità che può mostrarci i diversi colori della realtà giapponese.

Le Ema non sono gli unici oggetti religiosi pensati per ‘operare’ in tal senso ma sono forse quelle più diffuse, presenti appunto un po’ ovunque. Il fatto di poterle lasciare sul posto, le caratterizza rispetto ad altri oggetti religiosi quali Fuda (札) e O-Mamori (お守り). Larghe in media 15 cm e alte 9 cm, possono tuttavia presentare grandezze ma anche forme e colori molto variegati.

ema

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I temi raffigurati possono spaziare fra i seguenti:

  • il kami/buddha cui santuario o tempio sono dedicati (addirittura possono esistere tavolette raffiguranti Thomas Edison!);
  • i benefici specifici che kami (神 spiriti/divinità) e buddha hanno facoltà di donare;
  • scene su origine e storia del luogo di culto;
  • soggetti religiosi o culturali, come gli animali dello zodiaco di origine cinese (alcuni santuari sono specificamente dedicati ad un animale-segno dello zodiaco)

Tuttavia, tradizionalmente, particolare rilievo assume la raffigurazione del cavallo, come d’altronde suggerisce l’etimologia del nome stesso: e (絵) “immagine, disegno”, ma (馬) “cavallo”.

Perché il cavallo?

Risposta breve: perché nell’antichità si usava offrire un cavallo a santuari e templi per ottenere benedizioni o comunque propiziarsi la buona sorte. La figura del ‘cavallo sacro’ sopravvive ancora ai nostri giorni, tant’è che alcuni centri religiosi usano tenerne uno. E, se non in carne ed ossa, sotto forma di modello a grandezza naturale.

Questa sacralità del cavallo ha origine da un’antica credenza shinto che vedeva nel cavallo un animale caro ai kami nonché un loro messaggero (sebbene sia importante anche nel buddhismo). Da cosa nasce cosa quindi, ed ecco che l’equino diviene presto simbolo portatore di messaggi fra il mondo umano e “l’altra Sponda”. O l’Higan (彼岸) come viene chiamato anche nell’anime/manga Noragami. (Noragami è consigliatissimo se siete attratti dal genere, per così dire, ‘spirituale’. Pur attraverso l’interpretazione di fantasia dell’autore, vi dà uno spaccato religioso del Giappone, e rende molto bene il rapporto dei giapponesi con la spiritualità.)

Ad ogni modo, appurato che il nostro cavallo era considerato speciale, l’idea era di invocare una “mano dal cielo” in situazioni o eventi problematici. Ad esempio, in tempi di siccità in cui si sperava in un po’ di pioggia (cavallo nero) o, caso contrario, affinché smettesse di piovere (cavallo bianco). Tuttavia in tempi antichi solo pochi potevano permettersi di dare via facilmente un cavallo. La maggioranza delle persone cercava di tenerselo stretto, poiché animale prezioso per il proprio sostentamento. Per altro, come nota l’accademico Ian Reader, tali offerte potevano rivelarsi dispendiose anche per i templi se, a ogni preghiera di qualche ricco signore, si ritrovavano ogni volta con un cavallo, che giustamente doveva essere mantenuto, con le spese che ciò comportava.

ema

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È proprio in risposta a tali problemi contingenti che l’idea della raffigurazione del cavallo inizia a fare capolino. Anziché adoperare l’animale in carne ed ossa: perché invece non realizzare delle “e-ma” (“immagine-cavallo”)? Una soluzione conveniente, accessibile a tutti.

Le Ema fanno così la loro prima comparsa a inizio VIII secolo (periodo Nara), mentre le prime testimonianze ci giungono dalla metà del X secolo (periodo Heian). Sarebbe la raccolta di poesie e prosa cinesi Honchō Bunsui o Monzui ( 本朝文粋 ) la primissima opera a parlare delle “ema”. Cui seguiranno molte altre, una fra tutte, il Konjaku monogatari (今昔物語).

E·ma: le origini delle tavolette

Le Ema sarebbero perciò nate come sostitutivi del cavallo, nell’atto di far pervenire le proprie preghiere alle supreme entità ultraterrene. Sebbene non sia mancata qualche vocina contraria rispetto a tale linea generale. Un’altra lettura degli avvenimenti vorrebbe infatti che le targhette abbiano assunto la definizione “ema”, semplicemente, per una maggiore diffusione del disegno del cavallo rispetto ad altri temi.

Questo perché il tema del disegno cambiava a seconda della richiesta. Mettiamo che il disegno di una Ema fosse quello di un cavallo: il desiderio del richiedente poteva riguardare il benessere del proprio cavallo (pensiamo al caso dei più umili, per cui tale animale era fondamentale). Se il desiderio non riguardava un cavallo ma, ad esempio, un malanno fisico il disegno avrebbe ritratto la parte del corpo dolorante; e così via. Dunque “ema” secondo tale visione non indicherebbe che alle tavolette sia stata attribuita la stessa “agency” dell’animale. Bensì che semplicemente vi erano molte richieste riguardanti i cavalli, da cui poi sarebbe scattata un’estensione della denominazione.

Un’altra interpretazione invece sottolinea come la sacralità del cavallo non sia un’invenzione meramente shintoista e come anche nel Buddhismo l’animale abbia un suo peso. Quindi, che l’origine delle Ema sarebbe forse più da ricercarsi ripensando al ruolo del Buddhismo, cui le tradizioni popolari giapponesi attingono ampiamente. A tal proposito lo studioso Gorai Shigeru ha visto in una particolare usanza popolare, relativa alla tradizione buddhista O-Bon (お盆), una possibile origine delle Ema. Tale usanza consiste nel ricavare forme di cavallo da certi vegetali, sempre a scopo votivo, verso le anime dei morti. Gorai sembrerebbe insinuare il dubbio che l’origine di tale usanza possa essere precedente rispetto a quella attribuita alle Ema o ad altre forme simili di rappresentazione.

Entrambi tali voci dissonanti, circa le origini delle Ema, sembrano non trovare grande riscontro nell’archeologia. I ritrovamenti archeologici sembrerebbero infatti confermare tutti l’ipotesi della necessità di un mezzo alternativo al cavallo, che contemporaneamente ne facesse ‘le veci’. Un qualcosa di equivalente, che ne incarnasse lo spirito, un suo simbolo: la sua immagine.

tavolette ema

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Ema come “oggetti viventi”

La prova di ciò giungerebbe dalla lingua stessa. Vi sono numerose antiche iscrizioni su Ema che, da un punto di vista linguistico, inequivocabilmente si riferiscono alle tavolette come se stessero parlando del cavallo stesso. Vediamone alcune.

Nel sopra citato Honchō Bunsui infatti comparirebbe un riferimento alle Ema contenente il simbolo 匹 (“hiki”, “biki” o “piki”). Riportando dal Reader, l’espressione sarebbe: “色紙絵馬三匹 ”ovvero“ 3 fogli colorati di immagini di cavallo”. Oggigiorno usato come contatore per piccoli animali, nel giapponese antico l’ideogramma 匹designava invece animali da stalla, fra cui i cavalli. L’accostamento della parola “ema” a tale particella linguistica, la cui funzione è quella di designare appunto un essere vivente, la dice lunga. Iscrizioni simili sono state rinvenute anche in due santuari a Yamagata e Saitama, risalenti a XVI e XVII secolo. In questo caso troviamo l’ideogramma 疋 invece di 匹, ma significato e lettura sono i medesimi. Riportando sempre da Reader, si tratta di: “shinme ippiki” (神馬一疋) e “ema ippiki” “ 絵馬一疋 ”. Ossia “un cavallo sacro” e “una immagine di cavallo”.

Comunque, per quanto l’ipotesi sulla possibile origine buddhista delle tavolette non fosse solida, il Buddhismo almeno a posteriori è certamente compresente, considerato il sincretismo giapponese. Tra l’altro nei templi, le Ema fungono da mezzo per trasmettere la dottrina religiosa buddhista, assumendo così un’ulteriore funzione oltre quella per cui sono nate. Parliamo di quegli insegnamenti circa l’importanza dell’altruismo o della compassione (intesa nel buddhismo come ‘empatia’) o attraverso immagini tratte dai racconti sul Buddha. Sebbene non del tutto certo, si stima che l’adozione delle tavolette da parte dei templi buddhisti sia iniziata grossomodo fra XII e XIV secolo (periodo Kamakura). Infatti molti degli Emaki – opere d’arte a rotolo – dell’epoca ritraggono le Ema o i cavalli stessi, sia nei santuari shintoisti sia nei templi buddhisti.

ema wood

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Le tavolette di legno come forma d’arte

Nel corso dei secoli i disegni delle Ema si sono fatti sempre più elaborati e variegati, dando origine a una vera forma d’arte folkloristica. In particolare le Ō-ema (大絵馬), ovvero “grandi ema”, si sono rivelate un passaggio importante nello sviluppo dell’arte giapponese. Infatti, dopo la nascita delle Ō-ema, diversi saranno i grandi artisti giapponesi che attingeranno allo stile ema.

Nate fra XIV e XVI secolo (periodo Muromachi) tali Ema erano grandi almeno un metro sia in altezza sia in larghezza. Venivano donate a templi e santuari in segno di ringraziamento – anche a posteriori, non solo al momento della richiesta – ed erano collocate in appositi spazi, le Ema-dō (絵馬堂). La più antica Ema-dō sembrerebbe essere stata patrocinata nientepopodimeno che…da Toyotomi Hideyoshi nel 1606, per il santuario Kitano di Kyōto. Sempre a Kyōto poi, anche il famoso Kiyomizu-dera (清水寺) possiede diverse Ō-ema, anticamente donate da dei mercanti come ringraziamento per il ritorno incolume delle loro navi da commercio.

Conseguenza di tale sviluppo artistico fu l’emergere di una “casta” di artisti specializzati nella pittura ema, che trovò massima fioritura nel periodo Edo o Tokugawa. Tale periodo – di espansione economica, specialmente all’inizio – portò infatti la domanda di professionisti a crescere, permettendo loro di campare anche sulla sola realizzazione delle piccole ema.

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Il linguaggio Ema: simbolismo

È proprio in questo periodo che si origina la gran parte di simboli e temi più riprodotti sulle tavolette. Ma a cosa si deve invece tutto questo bisogno di mettere su carta – anzi, su legno – pensieri e sentimenti? Tale bisogno affonda le radici nella credenza folkloristica secondo cui un desiderio ha più possibilità di manifestarsi nella realtà, se viene esternato a parole; poiché, così facendo, gli si dà forma. Dobbiamo inoltre tener presente che in tempi antichi l’alfabetizzazione era riservata a una piccola fetta della popolazione. Un linguaggio alternativo alle parole e immediatamente comprensibile a tutti, si rendeva quindi necessario: è l’incontro fra folklore e simbolismo. Il linguaggio simbolico si rivelò così la via più efficace in tal senso, attraverso la raffigurazione di problemi specifici o della “grazia” desiderata.

Le rappresentazioni potevano spaziare fra diversi ambiti: dal benessere dei bambini, alla salute, alla fertilità, addirittura a desideri circa la sfera sessuale. Se ad esempio un desiderio riguardava un parto, una Ema con la raffigurazione di un cane rappresentava la scelta più appropriata. Mentre l’immagine della volpe bianca ancora oggi indica prosperità e l’abbondanza. Per le richieste riguardanti la salute poi, si soleva anche ritrarre la parte del corpo col malanno. Per quelle invece concernenti fertilità e sessualità, beh: le raffigurazioni erano inequivocabili.

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Il tipo di rappresentazione può quindi essere prettamente simbolico, attinto dalla tradizione (vedi l’esempio del cane) oppure ritrarre direttamente l’oggetto fisico d’interesse (parti del corpo). Ad ogni modo, ricordiamoci che tale simbologia, analogica o realistica, si accompagna alla funzione taumaturgica delle diverse entità religiose venerate (spiriti/dei/Buddha). Come dicevamo all’inizio, “deità protettrici” di un particolare ambito della vita (salute, istruzione e quant’altro) sono anch’esse un soggetto iconico principe delle Ema. Quelli citati sono solo casi a titolo esemplificativo, poiché soggetti e stili possono essere tanto variegati quanto lo sono le richieste e desideri delle persone.

Il linguaggio Ema: forme e parole

Nel passaggio all’età contemporanea, i temi tradizionali rappresentati non hanno subito grosse variazioni rispetto ai tempi antichi. Naturalmente c’è stata un’aggiunta di nuovi soggetti (vedi Thomas Edison o, perché no, personaggi anime). Possiamo però osservare un aumento del ricorso al linguaggio verbale. Una ragione l’abbiamo già vista: l’alfabetizzazione. L’alfabetizzazione ha così affiancato al linguaggio simbolico quello verbale, consentendo alla gente comune di non dipendere più unicamente dal primo. Allora non è raro ormai il ricorso a giochi linguistici di omonimia e assonanza da affiancare alla simbologia delle immagini.

Tipico è il caso di quelle Gokaku-ema (互角絵馬) – tavolette pentagonali – a tema ‘educazionale’. Esse sono pensate per gli studenti, alla costante ricerca del supporto dei kami per il successo negli studi. Ecco, tali Ema devono la loro forma a una pseudo-omonimia fra l’espressione “gokaku” (互角) – pentagono – e “gōkaku” (合格) che invece indica il successo nello studio. L’argomento dell’Ema può quindi essere trasmesso anche dalla forma stessa della tavoletta! E, come vedete, talvolta può servirsi di significati verbali. Un caso di simbolismo che si serve del linguaggio verbale è invece quello di una Ema ritraente un polpo, “tako” in giapponese (蛸) usata per richiedere ausilio nell’eliminazione dei calli. Il termine “callo” si scrive con caratteri differenti (胼胝) ma si pronuncia anch’esso “tako”.

Possiamo notare quindi – per la gioia di linguisti e glottologi – come il linguaggio ema sia fatto di tutte queste dimensioni della comunicazione. Simboli, forme e parole si integrano così l’uno con l’altro, intrecciandosi, in un unico spazio. Ricordiamoci poi anche che i caratteri grafici della lingua giapponese derivano dagli antenati pittogrammi, che rappresentavano direttamente gli oggetti visivi!

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Il linguaggio verbale risulta molto d’aiuto nell’interpretazione del significato del messaggio di una tavoletta. Poiché capire il vero significato di un linguaggio simbolico, inutile dirlo, può non essere sempre possibile. Ovviamente l’ausilio di quello verbale non garantisce il 100% della comprensione, dipende da caso a caso: possono esserci iscrizioni abbastanza chiare, altre più criptiche. La studiosa Jennifer Robertson, che si è occupata delle Ema al tempo della Seconda Guerra Mondiale, ha riscontrato una particolare ambiguità nelle tavolette di quest’epoca. Motivo per cui, sottolinea la necessità di mettere sempre in conto diverse possibili interpretazioni.

Kogaeshi e Mabiki Ema, un caso particolare

Esiste però un tipo particolare di Ema, dove il messaggio non è né una preoccupazione né un bisogno per qualcosa che si desidera. Una richiesta, sì, ma diversa dalle altre: una richiesta di perdono. Parliamo di tutte quelle targhette che riguardano il caso delicato dei bambini, feti, abortiti o nati morti: i cosiddetti mizuko (水子). Gli Ema riguardanti i mizuko vengono chiamati Kogaeshi (子がえし · lett. “rimandare indietro il bambino”). Oppure anche Mabiki (間引き · chiamiamola “riduzione”) che può riferirsi all’infanticidio generale.

Nei templi buddhisti specializzati sui mizuko (cui vengono dedicati anche memoriali), i Kogaeshi Ema vengono appesi in uno spazio apposito, solo per loro, accanto alla statua del Jizō. Jizō è nel Buddhismo figura protettrice delle anime dei bambini deceduti prima dei genitori. Secondo la credenza, i loro spiriti non possono attraversare il Sanzu – fiume che separa la vita terrena dall’ “Altra Sponda” – poiché non hanno accumulato abbastanza buone azioni, a causa della morte prematura. Sarebbero perciò condannati ad ammucchiare pietre sulla riva del fiume mistico, ma Jizō li proteggerebbe dai demoni e consentirebbe loro di ascoltare i mantra.

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Si differenziano dalle normali Ema, perché le loro iscrizioni si rivolgono allo spirito del bambino, anziché a kami o buddha. Naturalmente, esprimono tutta l’angoscia, la tristezza, il rimpianto della madre o talvolta anche di entrambi i genitori. L’iscrizione più ricorrente, stando a Reader, sarebbe un semplice “Gomen ne” (ごめんね) ovvero “Mi dispiace” [“Perdonami”] unitamente alla motivazione del gesto. Tale fenomeno ha colpito particolarmente a cavallo fra tardo periodo Edo e inizio periodo Meiji, quando povertà estrema e carestia colpirono duramente la popolazione giapponese. Il ricorso ai Mabiki Ema però è continuato sino ai tempi contemporanei.

Mukasari Ema, altro caso particolare

Altro caso di targhetta legata alla morte, è quello delle Mukasari-ema (ムカサリ絵馬). Queste tavolette infatti nascono per uno scopo singolare: portare a termine i cd. Shirei Kekkon (死霊結婚), i matrimoni fra anime morte. Esse appartengono alla categoria delle grandi ema e, stando alla Robertson, la loro diffusione parrebbe essere circoscritta alla sola Okinawa e al nord-est del Giappone, nella Prefettura di Yamagata. “Mukasari” significherebbe infatti “matrimonio” nel dialetto di Yamagata (non a caso scritto con l’alfabeto katakana). In sostanza tali Mukasari-ema consentono di “simulare” nella rappresentazione della targhetta, il matrimonio di una persona morta da celibe o nubile. È un modo per consentire all’anima di trovare la pace, impedendo che possa divenire uno spirito tormentato.

Se accadesse infatti, lo spirito potrebbe restare ancorato al mondo terreno, attraverso il dolore, per non aver potuto sperimentare la gioia di farsi una famiglia. Quindi, infestare il mondo dei vivi. È così un modo anche per la famiglia della persona deceduta, per quanto fittizio, di realizzare tale sogno. Nei tempi moderni, si può anche ricorrere alle fotografie, se ce ne sono, della persona in abiti nuziali quando ancora in vita. Tali Mukasari-ema sono state particolarmente adoperate ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, per il motivo facilmente immaginabile.

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Si tratta di due casi limite, l’eccezione alla regola. Poiché come ormai è chiaro, le Ema sono fatte con un occhio al benessere umano, del qui e ora, sia esso individuale o esteso all’umanità intera. Ma sono pur sempre parte del mondo Ema e, se c’è qualcosa che comunque le accomuna alle altre, è una funzione non da poco: quella psicologica, di liberazione da un peso interiore. L’atto stesso di “scaricare” sulle tavolette ciò che si ha dentro – pensieri, desideri, bisogni nonché preoccupazioni – è un atto profondamente catartico. Soprattutto se tali desideri e bisogni vanno in contrasto con le norme imposte dalla società. Come nota Reader, un modo per gli individui di sopravvivere in situazioni che sfuggono al loro normale controllo e unica via di sopravvivenza, dal controllo sociale.

I desideri della gente

Ma in genere cosa desidera nello specifico chi fa ricorso alle Ema? Potremmo individuare due macro-aree: protezione e successo.

Della prima fa certamente parte la salute, tema principe di ogni tempo. Come accennato nell’introduzione, kami e buddha sono associati a poteri curativi, attribuiti per estensione anche a santuari e templi loro dedicati. Le richieste di ‘grazia’ da malanni e malattie – o di protezione preventiva da qualsivoglia pericolo – possono riguardare il richiedente stesso, i suoi familiari, oppure altre persone. Le richieste riguardanti il successo, ambito molto sentito, possono anch’esse riguardare il richiedente o terzi oppure un ‘io collettivo’ di cui il richiedente fa parte. È il caso di tutte quelle richieste fatte per propiziare il successo della propria azienda o istituzione di qualsiasi altra natura. Vi sono Ema ad esempio dove il richiedente si preoccupa del successo della propria squadra del cuore (in Giappone molto popolare è il baseball).

Ma c’è un reame che emerge in modo particolare su tutti quanti: l’istruzione. Il sistema educativo giapponese contemporaneo è molto rigido e competitivo, e la pressione dell’insuccesso sui ragazzi può essere particolarmente gravosa, dal punto di vista psicologico. Allora, vuoi già solo per questo motivo. Vuoi anche per ispirazione – nel vedere amici o gruppo di coetanei recarsi nei centri religiosi a scrivere le loro targhette – fatto sta, che gli studenti rappresentano una bella fetta di “clientela” per le Ema. Oltre a richiedere il favore “dei cieli” nella buona riuscita di test ed esami, l’iscrizione delle Ema può rappresentare per i giovanissimi un momento di leggerezza, di spensieratezza.

Come non menzionare a questo punto il kami shinto Tenjin (天神), patrono della cultura e dell’istruzione, certamente popolare fra gli studenti giapponesi. (Per altro, Tenjin è la deificazione di una persona realmente esistita fra IX e X secolo d. C.! Letterato e politico di corte Heian, in vita il suo vero nome fu in realtà Sugawara no Michizane.) I suoi santuari sono i più frequentati nei mesi freddi, soprattutto gennaio e inizi febbraio, quando ha luogo il famigerato “inferno degli esami di ammissione”.

Non mancano poi certamente richieste riguardanti benessere materiale così come quelli riguardanti gli affari di cuore. Addirittura quelle per “recidere i legami” con l’ausilio delle apposite Enkiri-ema (縁切り) per esprimere il desiderio di spezzare il cordone che lega a persone, cose (vizi, dipendenze) o situazioni (malattie).

L’incinerazione delle tavolette

Eh sì, questa è una tappa importante della vita delle tavolette: quella finale. Sia i santuari shinto sia i templi buddhisti periodicamente provvedono a bruciare le tavolette offerte, a duplice scopo: rituale ma anche pratico. (Nella religiosità giapponese dimensione pratica e dimensione spirituale riescono a sposarsi serenamente). La motivazione pragmatica è dovuta semplicemente…alla necessità di fare spazio! Dopotutto, centinaia e centinaia di tavolette nel tempo si accumulano.

La motivazione spirituale invece vuole che, attraverso il rito del falò, desideri e richieste delle persone possano giungere al regno dei kami e dei buddha. Kami e Buddha che, vi ricordo, dovrebbero comunque aver già letto le Ema, sempre a disposizione in templi/santuari, prima dei rituali del fuoco. Ancora una volta Noragami ci viene in aiuto, con la sua storia così esemplificativa. Non è raro infatti vedere proprio il Tenjin aggirarsi nei santuari lui dedicati, di fianco le tavolette Ema. In Noragami, per altro, si tocca anche il tema del recidere i legami, di cui abbiamo parlato poc’anzi (insomma, avete capito l’antifona: guardatelo/leggetelo).

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photo credits: https://youtu.be/Vn6AoThrXyc

Quando si svolge tale rituale?

Il passaggio al nuovo anno è il momento che mette tutti d’accordo. Tuttavia può avvenire anche in altri periodi, diversi a seconda di ogni centro religioso. I santuari di Tenjin ad esempio sono soliti farlo a fine ottobre, appena dopo i festival a lui dedicati.
Il periodo attorno al Capodanno, l’O-Shogatsu (お正月), è tuttavia l’ideale per tutti, essendo un momento di transizione. Quale momento migliore per rilasciare simbolicamente ciò che ormai ha fatto il suo tempo, liberando desideri e richieste del vecchio anno? E allo stesso tempo, quale momento più propizio per inaugurare l’anno nascente, magari scrivendone di nuovi? Ammazza, quante commissioni per questi kami e buddha già dai primi sospiri del nuovo anno! La frase “Liberarsi del vecchio per far spazio al nuovo”, in questo contesto, non può che calarsi bene, prestandosi più che perfettamente a tale interpretazione duale.

Nulla piove dal cielo!

Attenzione però, a non fraintendere. Non pensiate che si tratti di un mero atto di superstizione: niente di più lontano dalla realtà! Ricorrere alle Ema non equivale a pensare di mettersi a braccia conserte, aspettando una grazia ultraterrena. Chi ricorre alle Ema, generalmente sa bene, anche con un ipotetico “favore dei cieli”, che il 95% delle probabilità di successo sono date dal proprio impegno. E dal proprio atteggiamento mentale. Mi riferisco naturalmente a tutte quelle situazioni dove uno ha potere d’azione. Nei casi in cui ciò non sia possibile, l’unica cosa da fare è cercare di agire, il più che si riesce, sul proprio atteggiamento mentale.

Le tavolette Ema testimoniano la ricerca di un cambiamento o di sicurezza da qualche rischio o pericolo. Hanno la facoltà di avvicinare anche i più “laici”, coloro che magari non fanno una grande vita spirituale. Come può essere il caso di diversi giovani, o dei bimbi, che possono cogliere nelle tavolette anche un lato giocoso, oltre che di supporto per gli studi. Il senso dell’offrire una tavoletta Ema è sostanzialmente quello di far fronte a una crisi, di qualsiasi natura, ricorrendo alla dimensione soprannaturale, da sempre fonte di supporto. In altre parole, le Ema svolgono una funzione di conforto e di sostegno. E, di riflesso, un’importante funzione terapeutica.