Continua l’appuntamento con gli approfondimenti sulla cultura giapponese e oggi parliamo di Sakura, il fiore simbolo del Sol Levante. “Il fiore perfetto è una cosa rara. Si potrebbe trascorrere la vita a cercarne uno, e non sarebbe una vita sprecata.”

Sakura 桜 Fiore simbolo del Giappone

Autore Ospite: Flavia

Così, esordiva Ken Watanabe in una scena del celebre film ‘L’Ultimo Samurai’ (2003) nei panni del samurai ribelle Katsumoto, sulla cornice di un bellissimo giardino giapponese. Come non ricordare questa scena del film che, aldilà di alcune inesattezze storiche, è in grado di regalarci momenti come questo. Circondato da splendidi alberi in fiore, Katsumoto-Watanabe altro non fa che mettere in scena il prototipo della sensibilità estetica giapponese verso la natura. In questo caso, verso i fiori. Ma qui è di un fiore in particolare che stiamo parlando…quello di ciliegio, indiscusso oggetto di secolare ammirazione: il Sakura ( 桜 · さくら ).

Conosciamo tutti i fiori ciliegio: la loro bellezza è evidente, l’ammirarli una conseguenza naturale. Questo direi che non necessita di spiegazioni. Possiamo però parlare della particolare importanza che questo delicato fiorellino riveste in Giappone, tanto da divenirne simbolo “morale” (quello ufficiale è il crisantemo).

Il termine “Sakura” si riferisce sia al fiore sia all’albero – noto come “ciliegio giapponese” –, un tipo di ciliegio caratteristico dell’estremo oriente. Le varietà di Sakura che costellano il territorio giapponese, metropoli comprese, sono circa un centinaio. Ma le più diffuse sono lo Yamazakura e soprattutto il (Somei-)Yoshino, dal tipico colore rosa pallido-bianco, contemplato dai giapponesi da ormai centinaia di primavere.

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photo credits: japan.stripes.com

Portatore di una simbologia particolare, evocativo di profondi significati, il Sakura è una vera e propria istituzione in Giappone. Compare nella celebre monetina da 100 Yen e fa da cornice al Fuji san, l’altro grande simbolo del Giappone, sul retro dell’attuale banconota da 1000 Yen. È così amato che l’Agenzia Meteorologica Nazionale ogni anno emana lo speciale bollettino Sakura Zensen ( 桜前線 ) per aggiornare sullo stato della fioritura. I media giornalmente informano la popolazione sugli spot migliori, che può così regolarsi per l’amata attività dell’Hanami (lett. l’osservare i fiori), decidendo dove e che varietà di Sakura ammirare.

La fioritura procede da sud a nord, dato che il clima è più mite nelle zone meridionali. Quindi, se arrivate in Giappone che nel centro-sud la fioritura è già passata, guardate il calendario: potreste ancora essere in tempo per beccarli ad Hokkaidō!

Mankai 🌸  La fioritura

Il tempo medio della fioritura varia con la collocazione geografica ma in ogni caso è breve: pochi giorni, massimo una decina giorni. Parte da Okinawa, intorno a fine gennaio, procedendo man mano verso nord con gli ultimi boccioli che si aprono verso metà maggio a Hokkaidō. Questo, il periodo di tempo indicativo. Maltempo, perturbazioni o cambi di temperatura improvvisi possono ovviamente incidere sulla durata della fioritura, considerata poi l’estrema delicatezza del fiorellino. Tutto dipende dal clima e dall’anno: può capitare che i fiori sboccino un po’ prima, o un po’ dopo; oppure che lo sbocciare sia interrotto da un brusco cambio climatico. Il momento del boom della fioritura è noto come Mankai (満開) che infatti significa “piena apertura”.

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photo credits: japan.stripes.com

Come anticipato, gran parte dei ciliegi sono della varietà Somei-Yoshino, ma si contano oltre cento specie. Alcune anche in grado di produrre frutti commestibili. Dei criteri per distinguerne tra i diversi tipi, il più immediato è senz’altro quello del numero di petali, che possono arrivare a dieci, venti o anche di più. Quelli più diffusi rimangono i classici Sakura a cinque petali, sia fra quelli selvatici sia fra quelli coltivati.

🌸  Tipi di Sakura

Ma vediamo alcuni esempi di ciliegi più particolari. Oltre al Somei-Yoshino, il più coltivato e che va per la maggiore, possiamo trovare:

  • Yama-zakura (山桜), ossia il “Ciliegio di montagna”. Molto amato, si colloca subito dopo al Somei-Yoshino in termini di popolarità. Presenta grandi boccioli rosa e ha cinque petali.
  • Fuyu-zakura (冬桜), ovvero “Sakura invernale”. Come suggerisce il nome, è un ciliegio che comincia a sbocciare in autunno per proseguire in inverno, sebbene non in modo continuativo.
  • Yae-zakura (八重桜), il “Ciliegio doppio”. Chiamato così per via del bocciolo “rinforzato”, ossia molto corposo, con più di cinque petali. È associato all’antica capitale Nara (奈良).
  • Shidare-zakura (枝垂桜), cioè “Ciliegio piangente” poiché i suoi rami cascano, come fosse un salice, creando una cascata di fiori rosa. È fiore ufficiale della prefettura di Kyōto.
  • Ichiyō (一葉), “una foglia”. Deve il suo nome a un pistillo, simile a una foglia, che fuoriesce dal suo centro quando completamente aperto. È uno di quelli che può avere da 20 a 40 petali.

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Si definiscono poi Ippon-zakura (一本桜), tutti gli alberi di ciliegio “in solitaria”, ovvero piantati singolarmente. Tra questi, come non ricordare i tre grandi ciliegi del Giappone, i Sandai-zakura (三大桜). Il trio è composto dal Jindai-zakura a Yamanashi, dall’Usuzumi-zakura a Gifu e dal Takizakura a Fukushima. Jindai e Usuzumi appartengono alla varietà Edohigan (da cui deriva anche il Yoshino), mentre il Takizakura è un esemplare di ciliegio piangente. In particolare il Jindai-zakura, situato nel tempio Jissōji (實相寺), è forse il più antico in Giappone: ha circa duemila anni e una circonferenza di 13 metri e mezzo!

Primavera (春), stagione della speranza

L’atto di contemplare gli alberi in fiore risalirebbe al periodo Nara (VIII sec.). Dapprima appannaggio della sola corte imperiale di Kyōto, nei secoli si è estesa alla categoria dei samurai prima e al resto della popolazione poi. Diciamo che in principio fu il pruno (梅·Ume), a esser oggetto d’attenzione. Il pruno rappresentava il legame con la Cina, essendone originario. Ma già dal periodo Heian (VIII-XII sec.), complice l’interruzione dei rapporti con la Terra di Mezzo, l’Ume venne spodestato dal più autoctono Sakura. Da allora, le poesie a tema primavera iniziarono a riferirsi ai Sakura anche solo con il termine “fiori” (花·Hana) e la parola “Hanami” divenne anch’essa intercambiabile con “sakura”. Dettagli linguistici, tuttavia, indicativi.

La primavera (春· Haru) si caratterizza da sempre come un simbolo di rinascita, di potenza generatrice.

Anticamente la fioritura dei ciliegi era associata alla prosperità, poiché presagiva l’abbondanza della raccolta del riso. Per propiziarsi un buon raccolto l’anno successivo, l’inizio della stagione di semina era aperto da una serie di rituali che si chiudevano con allegre celebrazioni sotto i Sakura. Nel XVIII poi, lo shōgun Yoshimune Tokugawa promosse ulteriormente questa usanza disponendo la piantagione di alberi di Sakura in diverse aree.

Oggi, la primavera è la stagione di studenti, diplomati e laureati, che confidano nel buon auspicio rappresentato dalla fioritura. Nel mese di aprile infatti, per gli studenti si apre il nuovo anno scolastico, mentre laureati e molti diplomati si apprestano ad entrare nel mondo del lavoro. Aprile segna anche l’inizio del nuovo anno fiscale in Giappone. Insomma, la stagione dei ciliegi porta con sé un po’ di inizi in quella terra. Pertanto, la si celebra a dovere con il Sakura Matsuri (桜祭り), il Festival dedicato.

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Il Sakura in dolcetti e manicaretti

Sakura e primavera però si celebrano anche attraverso il cibo, come da buona tradizione giapponese. Famoso è il Hanami Bentō (花見弁当), ovvero il bentō che non può mancare in un pic-nic sotto ai fiori di ciliegio. Per chi non lo sapesse, il bentō è una box per il pranzo al sacco, usatissima dai giapponesi tutto l’anno, ma che in questo periodo si declina a tema Sakura. Potrebbe capitare di trovarci dei Sakura Onigiri (桜おにぎり) ad esempio, le polpette di riso con dei Sakura salati sopra.

Tuttavia, esiste anche il tè ai fiori di ciliegio (桜茶, Sakura-cha) possibilmente abbinato al Sakura-Mochi (桜餅), tipico dolcetto di riso con pasta di fagioli rossi, avvolto in una foglia di ciliegio sotto sale. L’infuso ai Sakura tra l’altro viene offerto ai novelli sposi il giorno del matrimonio poiché ritenuto di buon auspicio. Di Wagashi (和菓子) poi – la pasticceria tradizionale giapponese – se ne trovano di svariati a tema sakura. Ancora, tra i prodotti più commerciali: come si può avere il Matcha-latte, esiste anche un Sakura-latte tutto rosa. E potremmo andare avanti ancora, ma forse meglio smettere: sennò ci viene troppa acquolina in bocca!

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Hanami (花見), ammirare i boccioli

Hanafubuki (花吹雪): “tempesta innevata di boccioli”. Così è definito lo spettacolo dei petali cadenti dai ciliegi in fiore, la cui pioggia colora il paesaggio in una sorta di “nevicata primaverile”. Se uno di questi petali (花びら· Hanabira) cade nel proprio bicchiere di sake, mentre si sta facendo Hanami, è un segno propiziatorio di buona salute.
Come anticipato in apertura, la parola “Hanami” indica la pratica di osservare i fiori di ciliegio (花= fiore/i, 見= guardare). Oggigiorno, i festeggiamenti per l’Hanami possono andare da semplici pic-nic a festeggiamenti più elaborati, con musica e intrattenimento. Possono avere luogo anche di notte, nel qual caso, si parla di Yozakura (夜桜) ossia di “sakura di notte”. Il risultato, potete immaginare: un evocativo Hanami notturno, fra lanterne di carta e chiaro di luna.

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Tuttavia la peculiarità dell’Hanami non sta nel semplice assistere a questo spettacolo della natura: ma nell’assistervi cogliendone l’aspetto fugace. La bellezza dei boccioli consiste anche nella loro transitorietà. In chi li contempla sopraggiunge un sentimento di dolce melanconia…che la delicatezza di questi fiori è in grado di evocare quando, staccatisi dall’albero, fluttuano trasportati dal vento o da una delicata brezza, per poi posarsi a terra. Una commozione data dal realizzare che questa altro non è che la natura ultima della stessa esistenza umana: destinata, prima o poi, ad avere una fine.

“Allora vengo in questo luogo insieme ai miei antenati e mi torna un pensiero: come questi germogli stiamo tutti morendo…riconoscere la vita in ogni respiro, in ogni tazza di tè, in ogni vita che togliamo… ” [ Katsumoto Moristugu – L’Ultimo Samurai ]

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Simbolismo del Sakura: mono no aware (物の哀れ)

Quello del Sakura è dunque un simbolismo che ha del dolce e dell’amaro, ma ciò non ci deve stupire, poiché conosciamo il sentimento giapponese del “Mono no aware”. Ossia un “pathos per le cose” caratterizzato da una delicata punta nostalgica, dovuta alla consapevolezza del loro continuo mutamento. Un concetto che il nostro Sakura incarna alla perfezione e di cui si fa inevitabilmente portavoce. La sua bellezza è incantevole ma evanescente, effimera. Perciò la contemplazione si fa dolce per via della delicatezza del fiore, ma anche malinconica…poiché consapevole della sua evanescenza. Se ne contempla così lo splendore ma con un retrogusto di tristezza. Questa in poche parole, l’essenza del Sakura.

Ancora una volta siamo di fronte a un’estetica che trascende l’aspetto esteriore. Un’esteriorità la cui bellezza aggancia gli individui, per poi portarli a una più ampia forma di contemplazione. Lo abbiamo visto bene, anche nel nostro articolo dedicato al Wabi-Sabi 侘寂. Ciò non è mai stato tanto vero, quanto nel caso dei Sakura.

I fiori di ciliegio simboleggiano dunque la transitorietà della vita e la ciclicità. Perché sbocciano sì in tutta la loro gloria ma il loro spettacolo permane per un tempo limitato. Caducità della vita, della gioventù, della bellezza: una metafora che la natura stessa ogni anno sembra voler regalare e che in Giappone sono stati particolarmente attenti a cogliere. Allo stesso tempo però sono anche simbolo di (ri)nascita e speranza…poiché ogni anno, comunque, tornano a sbocciare in tutto il loro splendore.

Meraviglia e simbolo di vitalità da una parte, estremamente fragili dall’altra: questa, la loro duplice natura. Data tale consapevolezza, il richiamo al Buddismo è inevitabile.

Simbolismo del Sakura: altri significati

Altri significati più specifici attribuiti al Sakura hanno a che vedere con il numero 5. Perciò, naturalmente, è il ciliegio classico a cinque petali quello che meglio si presta a questo tipo di simbologia. Il numero 5 richiamerebbe infatti il mito cosmogonico (sulla nascita del “cosmo”) giapponese secondo cui in origine vi erano due divinità, Izanagi e Izanami, e queste avrebbero generato cinque figli; la nascita del quinto figlio, dio del fuoco, sarebbe risultata fatale per la dea-madre Izanami. Izanagi, sconvolto, avrebbe così ucciso questo figlio, dalle cui parti si sarebbero poi originate le divinità delle montagne. Il 5 però rimanderebbe anche al concetto del Buddismo esoterico giapponese dei cinque orienti (punti cardinali più il centro) nonché ai cinque elementi acqua, fuoco, terra, etere e vuoto.

Più generalmente, i ciliegi possono venir associati anche alle nuvole semplicemente in virtù di una questione visiva: la loro fioritura in massa può ricordare le nubi in cielo. Un po’ come accade anche nell’espressione di “Hanafubuki” che abbiamo vista prima, dove il fubuki (吹雪) da solo significa “tormenta di neve”.

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photo credits: Flavia

Come i Sakura, così i Samurai

Ma tornando al nostro Katsumoto-Watanabe, in realtà la sua frase si concludeva con “…questo è Bushidō”. Infatti il Sakura veniva associato anche all’ideale della via del guerriero e alla figura del samurai (侍), tanto da divenire emblema della categoria. Direte, dove sta la similitudine? Nel fatto che il fiore di ciliegio incarnava le qualità tipicamente associate al samurai (coraggio, purezza, onestà, lealtà…). Come il Sakura muore all’apice del suo splendore, così il samurai nel pieno della vitalità e della forza era pronto a morire se giungeva il suo momento. In questo senso la sua vita, per quanto grandiosa, era fragile come quella di un bocciolo di ciliegio. Egli però non temeva la morte, poiché questa era vissuta come un ultimo atto ideale e unica fine onorevole possibile, in nome di una fedeltà estrema ai propri valori.

Nel ciliegio, il bushi (guerriero) trovava il suo modello ed in esso identificava la propria vita. Proprio come il delicato fiorellino, doveva condurre la sua esistenza dando tutto sé stesso, attraverso la dedizione in ogni suo gesto, fino al suo ultimo sospiro. Tutto ciò che contava era “bruciare” sino a che fosse stato possibile, attraverso quel combustibile, che era la sua forza vitale. In tutto ciò non poteva esserci spazio per la paura della morte. Anzi: era proprio negli ultimi momenti del guerriero, che la sua bellezza risplendeva forse maggiormente.

Così i Sakura, così i bushi: proprio come nel proverbio “Hana wa sakura-gi, hito wa bushi” ( 花は桜木·人は武士 ) ossia “Tra i fiori il ciliegio, fra le persone il guerriero”. I samurai in battaglia potevano cadere sotto i colpi dell’avversario, proprio come boccioli che cadono a terra staccati dai rami per un colpo di vento o per la pioggia. Proprio come tanti piccoli boccioli, trionfanti, i samurai fiorivano; per poi andare incontro al loro destino.

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Di tale identificazione si servì in diversi modi anche il Giappone Imperiale secoli dopo. Fra gli altri: il Sakura venne riprodotto ai lati e, nel nome stesso, degli aeri Ōka ( 桜花 ) a simboleggiare l’atto estremo dei Kamikaze della Tokkōtai (Unità Speciale di Attacco) alla fine della II Guerra Mondiale. Gli stessi piloti, in procinto di compiere la missione suicida, pare si imbarcassero portando con sé un ramo di ciliegio.

Oggigiorno, il Sakura può simboleggiare le arti marziali.

“Donna che siede sotto i ciliegi in fiore”

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Questa, l’immagine che si potrebbe trarre–sicuramente quella che ci vedo io–osservando l’ideogramma di “sakura”. Ben lungi dall’essere, questa, la spiegazione per cui il kanji 桜presenti questa specifica forma, esso però ben si presta a tale interpretazione. Soprattutto considerata la sua forma odierna che è semplificata. Prima di lasciarci, non possiamo quindi concludere senza un attimo di parentesi sulla scrittura e sul kanji del ciliegio.

Come potete osservare nell’immagine qua sopra, l’ideogramma di Sakura 桜 si compone a sinistra del radicale 木 (=albero), a destra di tre trattini con al di sotto il carattere 女 (=donna). La particina in rosa, dite la verità: non ricorda davvero i petali di un fiore?

In realtà questa particina un tempo veniva scritta in modo più elaborato e nulla aveva a che vedere con tale significato. Si scriveva così: 櫻. Successivamente è andato incontro a un processo di semplificazione, come tanti altri ideogrammi sia in Giappone sia in Cina (da cui provengono). Tenendo conto che gli ideogrammi derivano dai pittogrammi, osserviamo nelle immagini sottostanti il nostro carattere nella sua transizione da pittogramma a ideogramma.

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Questa la sua transizione, per poi in tempi più moderni mutare appunto così: 櫻 🡪 桜 (in Cina invece è diventato 🡪 樱 ). Il doppio 貝貝, che precedeva i tre trattini attuali, indicava la “collana”; mentre il solo貝 ancora oggi significa “conchiglia”. Vedete quindi come, andando a indagare l’etimologia cinese, si svela la reale evoluzione storica. Tuttavia, attenzione, perché tutta la parte destra (ossia 嬰) dell’ideogramma 櫻 ha motivo di stare lì unicamente per una questione fonetica. (Non per motivi di significato, per altro diverso fra cinese a giapponese). Vale a dire, che quella parte è stata “messa” lì per conferire la pronuncia al kanji 櫻nel suo complesso.

Ma aldilà di questa breve digressione, a noi piace comunque vederla così: come una donnina sotto un albero in fiore. Giusto? Dato che oggi abbiamo a che fare con il carattere semplificato, possiamo tranquillamente concederci questa lettura del kanji che, per coincidenza, ricorda molto l’immagine di una donna sotto ai ciliegi in fiore. E sicuramente aiuta molto a ricordare l’ideogramma. Dopotutto, questo fiore richiama anche la femminilità. Non a caso Sakura, o la variante Sakurako (桜子o 櫻子), sono nomi femminili alquanto diffusi in Giappone.

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